“Quello del Fondo è un problema politico, non sindacale. I banchieri non hanno il coraggio di chiedere al governo, nella persona del ministro Tremonti, di ridurre la fiscalità sul welfare, cresciuta negli anni. Così tentano di scaricare l’aumento degli oneri sui lavoratori, proponendo di non utilizzare o di far abrogare questo strumento che invece è stato efficacissimo per risolvere, in maniera morbida, difficili ristrutturazioni aziendali”.
Per l’Abi non avete voluto trattare sulla parte normativa.
“Non accetteremo mai che uno strumento nato per gestire uscite volontarie e incentivate venga trasformato, con il nostro consenso, in un meccanismo automatico di sistema per ottenere licenziamenti mascherati, abrogando l’accordo del 2001. Su altre questioni normative eravamo disposti a mediare.”
E sulla parte economica?
“Volevamo trattare, ma ci siamo accorti che al primo intoppo è scattata subito la chiusura. Ho avuto la netta impressione che a qualcuno, in Abi, non sarebbe dispiaciuto far iniziare la nuova presidenza di Giuseppe Mussari con uno sciopero. Non credo sarà utile a nessuno avvelenare i pozzi.”
La concertazione però ne esce male.
“Forse l’Abi nel tempo si è erroneamente abituata a contare su un eccessivo senso di responsabilità sindacale, che in alcuni casi c’è stato. Hanno confuso concertazione con debolezza.”
Il rinnovo contrattuale dunque parte in salita.
“I soliti rituali sui numeri non hanno più senso: vogliamo un confronto a tutto campo con la controparte. Sul modello di banca, sulle politiche di erogazione del credito, sulla gestione dei rapporti con tutti gli stakeholders, compresi i clienti e le comunità. Dunque anche sui modelli distributivi e commerciali.”
E sulla governance?
“Siamo in sintonia con il presidente Mussari quando chiede alle banche il massimo sforzo per la trasparenza. Condividiamo la sua proposta di un tetto alla remunerazione del management.”
(Il Sole 24 Ore, 27 novembre 2010)