Home Editoriali SE FOSSI UN BANCHIERE… (La Voce dei Bancari, Aprile-Maggio 2011)

SE FOSSI UN BANCHIERE… (La Voce dei Bancari, Aprile-Maggio 2011)

di Redazione

Ho sentito una tentazione davvero forte. Ho immaginato di essere un banchiere (un banchiere vero!), o meglio, ho provato – solo per poco, il tempo di scrivere queste note – a vestirne i panni. Ed ecco il profilo del banchiere che vorrei essere.

Intanto, occorre partire dall’assetto del Sistema bancario. un sistema basato su leggi efficaci ed una supervisione attenta è il fondamento della crescita economica. In questo sistema bisogna sapersi inserire, riconoscendo, in primo luogo, il valore del risparmio quale elemento essen- ziale per lo sviluppo cui tutti devono contribuire. In modo particolare, dirigendo il flusso di risparmio non verso usi spe- culativi, ma verso utilizzi ed obiettivi che privilegino la produ- zione e l’investimento durevole. Il banchiere non rappresenta solo il mondo della finanza, ma è un attore del modello di responsabilità necessario a far funzionare la società ed orien- tarla, in un quadro di iniziativa libera, verso finalità volte al benessere.

Non andrà mai tradita questa missione. Il privilegio di pochi non dovrà mai oscurare la ricerca del benessere per la maggior parte dei cittadini: lavoratori, clienti, investitori, tutti equamente fruitori di un benessere ottenuto nella piena osservanza delle regole, salvaguardando l’interesse generale. Guardando, cioè, al risultato prodotto dal lavoro, ma anche al modo in cui esso è stato ottenuto. Allora, pensare di essere un banchiere, non un burocrate, è un modo per darsi un obiettivo ancora più alto, per una sfida con se stessi e col mondo. Aprire all’impresa è un dovere: ma come? Selezionando e sostenendo quelle iniziative che meritano di essere incoraggiate, facendo in modo che rischio imprendi- toriale e ricerca di un giusto ritorno sull’investimento siano effettivamente conciliabili. Ma può un banchiere avere un’a- nima autenticamente sociale o quest’anima sociale -se presen- te- costituirà, invece, una sorta d’intruso capace di ostacolarne il ruolo? La risposta è molto diretta e concreta: il banchiere deve saper selezionare gli investimenti, secondo regole precise, che lascino quote di utilizzo del capitale di rischio anche a co- loro che si affacciano per la prima volta sul mercato, con idee coraggiose e progetti innovativi. La sola difesa del mercato esi- stente diventa politica di parte, se esclude il nuovo e si limita a perpetuare il vecchio, lasciandolo, comunque, abbandonato a se stesso. Inoltre, il banchiere deve lavorare con una squadra manageriale, assortendo un team dotato di competenze tecni- che e di creatività, nel quale l’onestà dei comportamenti non deve essere ostacolo, ma requisito fondamentale ed impre- scindibile per ciascuno dei componenti. Il banchiere, quindi, avverte la tentazione e i richiami del potere, ma deve saperli ricondurre a un ambito creativo e realistico, sia evitando sogni di grandezza e onnipotenza, sia superando una visione di sem- plice gestione dello stato delle cose. Il banchiere deve porsi il tema del lavoro.

La missione della banca, se ridotta a leva per generare profitti finanziari costruiti mediante operazioni spericolate è, in sé, di- seducativa. Non si può pensare di crescere professionalmente per il solo fatto di aver frequentato università ed istituzioni accademiche che, in realtà, avversano, spesso, la solidarietà, insegnando a coltivare una forsennata competizione e predi- cando, contemporaneamente, il disprezzo dell’individuo e l’e- saltazione della soggettività, fino ad arrivare ad elevare al rango di “eroi” figure manageriali ed imprenditoriali senza cultura e senza etica.

A questo proposito – pur non trattandosi specificamente di un banchiere – ricordo, con un senso di smarrimento, la lezione che tale Sig. Briatore tenne ai giovani dell’università Bocconi alcuni anni fa: quale modello si stava loro proponendo?

Il banchiere deve avere rispetto per il lavoro: il lavoro è il pun- to di partenza della società, ciò che nobilita l’azione dell’uomo e la distingue; il lavoro è la dignità stessa della persona, è ciò che ne realizza l’essenza positiva; è la via per piegare la natura al bene.

Perciò ogni azione che possa essere distruttiva del lavoro o ri- duttiva dei suoi risultati dovrebbe essere evitata, a prescindere dal credo religioso o civile di ciascuno. Il banchiere, infine, dovrebbe essere uomo di cultura, non solo uomo (o donna) di erudizione.

Persona colta, di attente letture, capace di riconoscere il senso ed il valore della cultura tecnica ed umanistica come un tesoro cui attingere; acqua alla quale bere per dissetarsi e, soprattutto, rinnovarsi.

La cultura alla quale qui mi riferisco non vuole essere inte- sa, in astratto, come la conoscenza stratificata di nozioni, ma come la capacità di far vivere il pensiero nell’azione: ovvero, mettere in pratica le idee per cercare, e trovare, le soluzioni. Forse non esiste e non esisterà mai il banchiere al quale io penso.

Ma, in fondo, io immagino semplicemente un uomo per il quale il desiderio di vivere, conoscere, confrontarsi, realizzare precede la brama di successo e di autoaffermazione. Insomma, una persona che ascolta la coscienza e vuole agire per cambiare le cose.

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