Home Editoriali IL LINGUAGGIO DEI FURBI E IL BLUFF DEI BANCHIERI (La Voce dei Bancari, Giugno-Luglio 2011)

IL LINGUAGGIO DEI FURBI E IL BLUFF DEI BANCHIERI (La Voce dei Bancari, Giugno-Luglio 2011)

di Redazione

Il rinnovo del contratto nazionale: ecco le mosse segrete dell’Abi Tutte le strategie che i banchieri hanno già deciso e che adotteranno nei prossimi giorni e mesi

Tutto l’impegno e gli sforzi dell’ultimo periodo, in casa Abi, si sono concentrati esclusivamente su due argomenti: l’evoluzione del confronto in atto con le Organizzazioni sindacali in merito alla proposta di riforma del Fondo di Solidarietà di settore, e l’avvio del negoziato per il rinnovo del contratto. È opportuno ricordare, intanto, che, di fronte al netto ri- fiuto delle Organizzazioni Sindacali di un ricorso al Fondo di Solidarietà, se non su base esclusivamente volontaria, e considerando che tale determinazione porterebbe alle ban- che risparmi inferiori che non applicando la vigente disci- plina, l’Abi ha deciso di procedere alla disdetta del verbale di incontro del 24 gennaio 2001 sulla “Volontarietà”. D’altronde, le banche tentano da tempo di convincere se- raficamente il loro pubblico che questa iniziativa non dan- neggerebbe assolutamente i lavoratori interessati, perché le aziende che dovessero trovarsi di fronte ad eccedenze di personale, a seguito di cambiamenti gestionali quali riorganizzazioni/ristrutturazioni, valuteranno (che concessione!) la possibilità di favorire le uscite volontarie, laddove la platea degli interessati lo consenta.

Il 7 aprile 2011 l’Abi ha consegnato, perciò, la lettera di disdetta ai Sindacati, inviandola per conoscenza anche ai Ministri del Lavoro e dell’Economia. La risposta dei Sindacati non si è fatta attendere, con un rifiuto, inviato il 18 aprile, delle motivazioni poste alla base della disdetta e la richiesta di un immediato ritiro della disdetta stessa, pena eventuali conseguenti mobilitazioni a partire dal 1° luglio.

L’Abi e il nuovo contratto

Altro punto “caliente” è l’Accordo Interconfederale sugli assetti contrattuali del 2009, su cui le banche vogliono definire al più presto le necessarie intese attuative; anche in questo caso, la nostra controparte non intende accettare il secco NO che noi abbiamo contrapposto alla loro pro- posta di stabilire un regolamento propedeutico al rinnovo contrattuale, NO dettato dalla convinzione che il tema debba essere trattato esclusivamente in fase di negoziato vero e proprio.

In assenza di regole – così l’Abi definisce l’attuale situazione – l’Abi ha pensato bene d’inventarsi una soluzione personalizzata: prendere come riferimento il Protocollo 23 luglio 1993 sugli assetti contrattuali. Non ha, perciò, perso tempo nel comunicare la propria de- cisione al Consiglio dei Ministri e al Ministro del Lavoro, soprattutto perché questa bella pensata determinerà due conseguenze per le banche, entrambe positive:

1. le banche godranno di una maggiore libertà nella progettazione della parte economica del rinnovo, in quanto potranno basarsi sia sull’effettivo andamento del sistema bancario, sia su un indice inflattivo meno oneroso dell’indice Ipca.

2. le banche dovranno erogare, nel mese di giugno 2011, la prevista Indennità di vacanza contrattuale, pari al 30% del tasso di inflazione.

Il CASL (Comitato di Abi per gli affari sindacali e del la- voro), a dimostrazione di quanto l’Abi abbia a cuore una dettagliata e veloce soluzione al problema, ha costituito ben quattro Commissioni di studio dedicate all’approfondimento di altrettanti argomenti:

1. inquadramento e classificazione del personale;

2. semplificazione e razionalizzazione del Contratto nazionale;

3. sistema incentivante;

4. salario di produttività.

I lavori delle Commissioni, iniziati lo scorso febbraio, hanno tentato d’individuare le possibili linee d’intervento riguardo i 4 argomenti sopracitati, ma anche riguardo “area contrattuale” e “orari di lavoro”.

Il 7 aprile 2011 le Organizzazioni Sindacali hanno presentato alla stampa la loro piattaforma rivendicativa, che sarà trasmessa all’Abi dopo le assemblee dei lavoratori, quindi, alla fine di questo mese.

Riepilogando, per quanto concerne la parte economica, i Sindacati chiedono, per il triennio 2011-2013, un aumento medio di 205 euro mensili per i dipendenti appartenenti alla terza area, quarto livello, con sette scatti di anzianità (pari al 7,29%), più un ulteriore 1% calcolato in base alla scala parametrale.

L’aumento totale corrisponderebbe perciò a 245 euro circa.

Per quanto riguarda la parte normativa, l’Abi, “dall’alto della sua sapienza e avanguardia”, etichetta le nostre richieste come “tradizionali e superate”. E questo perché, a suo dire, i Sindacati richiedono agibi- lità maggiori, come nel caso dell’area contrattuale, e, allo stesso tempo, una presenza e un controllo più estesi sui processi di riorganizzazione, anche nella fase che precede le decisioni aziendali.

Insomma, le banche liquidano i Sindacati come dei “poveri ingenuotti” che non riescono a comprendere le difficoltà di un rinnovo contrattuale, in una fase economica interna e internazionale critica, che fortemente incide sulla redditività delle banche.

Perché, sia ben chiaro, è tutto qui il nocciolo del LORO unico problema: la redditività delle banche. Punto. Ecco, quindi, che la sceneggiatura del film-Abi è sempre la stessa: l’Italia ancora indebolita da una crisi la cui fine sembra lontana; il Pil che ha registrato una marcata contrazione; il recupero economico del Paese, che avanza molto più lentamente rispetto a quello degli altri paesi europei.

Di conseguenza, un sistema bancario la cui redditività è in vorticoso calo, essendo tornata a livelli precedenti al rin- novo contrattuale del 1999, e i principali indicatori che segnalano, per il 2009, livelli di ROE inferiori al 1997. Inoltre, il sistema bancario italiano sta subendo un difficile confronto internazionale, a causa di vari fattori: l’introduzione delle pesanti norme di Basilea 3 e di nuovi vincoli legati all’offerta di servizi e prodotti bancari; forti cambia- menti della domanda, che si è fatta più mobile e sofisticata anche grazie all’uso della banca on-line; la riduzione del numero di sportelli e la forte presenza e competitività degli operatori non bancari.

Allora, ci chiediamo noi, per restituire alle banche adeguata competitività e capacità di risposta al mercato e alle sue leggi, non sarebbe forse il caso d’investire su formazione, aggiornamento, miglioramento generale della gamma dei servizi offerti, invece di affidarsi sbrigativamente a tagli in- discriminati che punirebbero esclusivamente i lavoratori?

L’Abi e gli aumenti legati soltanto alla produttività

Secondo l’illuminata visione dell’Abi e del suo Presidente, invece, i cambiamenti in atto richiedono inevitabilmente un ripensamento delle strategie bancarie ma, soprattutto, del complesso dei costi operativi, inclusi quelli del personale.

L’obiettivo è un urgente recupero di produttività ed efficienza, costi quel che costi. “Costi quel che costi” ai lavoratori, sia ben chiaro. Anche perché, ricordano in Abi, negli ultimi dieci anni, attraverso i relativi rinnovi contrattuali, ai lavoratori bancari è sempre stata assicurata una retribuzione ben al di sopra dei livelli di inflazione; nello stesso periodo, si è registrato un aumento delle figure più costose per l’azienda, quali quadri e dirigenti: i primi sono passati dal 29,1% al 39%, i secondi dall’1,5% al 2,1%.

Insomma, di che possono lamentarsi questi bancari? Hanno alle spalle un decennio rose e fiori… Ma i tempi cambiano e bisogna adeguarsi: come dire, è arrivato il momento di pagare il conto. L’Abi vede, perciò, il prossimo rinnovo contrattuale come un salto di qualità all’insegna dell’innovazione, e il primo passo sarà quello di svincolare, per la prima volta, gli incrementi economici da parametri oggettivi, come è sempre stato, per legarli, invece, ad effettivi incrementi della produttività. Esatto. È proprio questo il significato che le banche danno alla parola “innovazione”: innovazione uguale produttività. Le banche non si accontentano più di stipulare rinnovi di contratto a costo zero: da oggi pretendono che gli aumenti siano legati esclusivamente ad effettivi miglioramenti di produttività ed efficienza.

Il Presidente Abi ritiene che quella che sta per compiersi sia un’evoluzione culturale di portata storica, di cui l’Abi deve farsi leader ed apripista rispetto alle altre Organizzazioni imprenditoriali. Alla faccia della modestia!

Il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo presenta, però, delle difficoltà, che anche Abi, pur nella veste di valoroso condottiero apripista, dovrà avere ben chiare:

a) innanzitutto, è fondamentale ricordare che i rinnovi contrattuali degli altri settori industriali stipulati dal 2009 in poi hanno sempre fatto riferimento al codice Ipca, previsto dall’Accordo interconfederale del 2009; ciò significa che la posizione dell’Abi resta isolata in tale panorama.

b) la mancata applicazione dell’Accordo interconfederale non soddisferà certo il Governo, che di tale accordo fu promotore.

c) c’è da aspettarsi la reazione agguerrita dei Sindacati, che minacceranno mobilitazioni e scioperi.

d) almeno inizialmente, l’Abi non troverà certo dei sostenitori, poiché la sua presa di posizione verrà giudicata profondamente “eretica”, e su questo non abbiamo dubbi. Ma la scaltra Abi sa che c’è un fattore fondamentale, di potente portata, a cui ricorrere in queste situazioni: deciderà perciò di riservare un ruolo da protagonista all’elemento “comunicazione”, per far arrivare all’opinione pubblica un’immagine positiva, lineare e coerente all’astuta linea d’azione intrapresa.

L’Abi e la guerra mediatica

L’Abi prevede la dura reazione dei Sindacati ma, ancor più, teme la reazione dell’opinione pubblica, che cercherà quindi di “conquistare” con una mirata comunicazione. Sarà, dunque, fondamentale per le banche utilizzare uno stile comunicativo vincente, che faccia arrivare all’opinione pubblica un messaggio chiaro, convincente e positivo. A questo proposito, è da tenere presente che la retribuzio- ne annuale di riferimento dei dipendenti di altri settori economici, quali agenzie di assicurazione o commercio, risulta inferiore allo stesso valore di riferimento dei ban- cari, nonostante tali categorie siano già state sottoposte a rinnovo contrattuale.

Questa “differenza di trattamento”, se strumentalmente accentuata, potrebbe destare un’attenzione negativa da parte dell’opinione pubblica, che vedrà i bancari come i “soliti favoriti”.

Ma non è questa la carta che l’Abi giocherà nella partita della comunicazione: la differenza di remunerazione tra bancari e dipendenti di altri settori economici e le difficoltà delle banche nel sostenere un rinnovo contrattuale tradizionale, non godono, infatti, di “appeal” in termini di opinione pubblica.

L’asso nella manica che, invece, l’Abi offrirà ai mass-media sarà la scarsa competitività dell’azienda bancaria italiana rispetto a quella internazionale, a cui consegue lo “spauracchio” di un aumento del costo dei servizi bancari per i clienti. Ma, soprattutto, le banche tenteranno di convincere la platea che stanno procedendo ad un rinnovo contrattuale basato non tanto sul rifiuto degli incrementi retributivi, quanto sull’introduzione di incrementi retributivi legati alla produttività.

Insomma, qualcosa di peggio di un semplice “addolcire la pillola”: le banche tenteranno proprio di mascherare i mancati incrementi retributivi in una sorta di “moderna” argomentazione da proporre ai lavoratori e alle Organizzazioni Sindacali.

L’Abi è, inoltre, decisa a battere sul tempo chi (la FABI in primis) punta su argomenti scottanti, come le retribuzioni dei top manager, dichiarando che le banche italiane si stanno allineando alle ultime istruzioni dettate dalla Banca d’Italia in materia di remunerazione e incentivazione. Ecco, quindi, che anche la recente dichiarazione del Presidente dell’Abi – dichiarazione pubblicata da varie testate nazionali in data 5 maggio 2011, in cui lo stesso sottolineava “la necessità di mettere un tetto agli stipendi dei vertici delle banche” – non è da confondere con una presa di coscienza ed una dichiarazione d’intenti: è semplicemente un’astuta mossa, che rientra nel tentativo di manipolazione dell’opinione pubblica.

L’Abi e la Confindustria

La caritatevole Associazione bancaria ricorda, poi, che la linea operativa indicata rappresenta oggi, nonostante gli ostacoli che certo incontrerà, l’unica via possibile da per- correre, non solo per le sorti del sistema bancario ma, soprattutto, per quelle dell’intero Paese.

E poi – udite, udite! – l’Abi chiama in appello tutte le forze del mondo produttivo, da coinvolgere in questo recupero della produttività per “salvare” così l’Italia. Tanto di cappello a questa visione umanistica dell’Abi!

Le banche, che si immolano per salvare la patria, condannata a un inclemente destino: chissà perché, ma non riusciamo a prendere seriamente questo raccontino da libro “Cuore”.

L’Abi, comunque, che giudica l’Italia “un paese legato alla logica della scala mobile, un paese che rifiuta il progresso”, ritiene fondamentale il coinvolgimento di tutte le parti sociali, in particolare Confindustria.

L’unione di forze con Confindustria permetterebbe alle banche di portare avanti con determinazione l’eroica battaglia, alla stregua di un esercito della salvezza, verso il recupero della situazione economica nazionale, che li legittimerebbe finalmente come Sostenitori Ufficiali della Crescita dell’Italia per presentarsi all’opinione pubblica come “salvatori della patria”. Meriterebbero d’essere immortalati in un busto. Di bronzo, naturalmente.

E non finisce qui: L’Abi è convinta della necessità che l’intera “industria bancaria”, fatta di aziende ma anche di dipendenti, dimostri la lungimiranza necessaria alla sopravvivenza del settore. Lungimiranza che necessariamente coinvolge anche il rinnovo contrattuale e il Fondo di solidarietà, poiché l’auspicato aumento della produttività deriva direttamente da un aumento degli esuberi.

Come dire: dovrebbero essere i dipendenti stessi a dimostrare sostegno e soddisfazione per le misure che le banche intendono adottare, perché sono proprio loro gli elementi – chiave della grande “famiglia Banca” che s’intende proteggere e salvaguardare!

Insomma, i banchieri sperano anche che i dipendenti bancari siano dotati di una massiccia dose di masochismo. Quando si dice “oltre al danno, anche la beffa”…!

L’Abi e la posizione politica delle Organizzazioni Sindacali

L’Abi sa perfettamente che il prossimo confronto con le Organizzazioni Sindacali sarà particolarmente difficoltoso per tre motivazioni:

– il crescente disimpegno da parte di una sigla confederale nei confronti della logica unitaria;

– la presenza di un Sindacato, la FABI, caratterizzato da una forte visione politico-sindacale, che fa presa sulla categoria;

– la fermezza, nelle intenzioni del Governo, di mantenere un Accordo interconfederale, quello del 2009, nato in una fase economica completamente diversa dall’attuale, e quindi, secondo le banche, non più idoneo.

In questo contesto, l’Abi ritiene, quindi, tatticamente funzionale creare spazi di negoziato, che permettano alle banche libertà d’azione sulla parte economica e, allo stesso tempo, concedano ai sindacati un minimo di movimento nella parte normativa, in modo da agevolarli nel confronto con i lavoratori che essi rappresentano.

In parole povere: noi (le banche) ci sistemiamo come ci pare il “grosso”, cioè l’aspetto economico, loro (i Sindacati) li facciamo contenti, concedendo un minimo di voce in capitolo sull’aspetto normativo. Così avranno qualcosa da “sbandierare” ai lavoratori che rappresentano.

Insomma, pensano che noi (sindacati) siamo dei fessi.

L’Abi e l’ultimatum ai lavoratori e ai Sindacati

Poi, nel caso in cui le banche non riuscissero a raggiungere un risultato positivo da portare a casa, vedrete che, tatticamente, non escluderanno la possibilità di ricorrere alla minaccia di misure pesanti, come licenziamenti o delocalizzazione dei processi produttivi.

L’Abi cerca di ricompattarsi al suo interno

Ultimo – ma fondamentale! – aspetto è la necessità, nel settore bancario, di un fronte compatto e solido perché le banche, a differenza degli altri settori presenti sul mercato, non possono fallire: ciò significa che, essendo preclusa alle aziende in difficoltà l’uscita dal circuito produttivo, si assisterebbe a una dispersione di risorse, che andrebbe a gravare su tutte le aziende del comparto.

L’Abi e la richiesta dei Sindacati di entrare nei Consigli di Amministrazione e di sorveglianza di aziende e grandi gruppi bancari

Anche per quanto riguarda la richiesta, fatta in modo disordinato e disomogeneo dalle Organizzazioni Sindacali, della presenza di un rappresentante dei lavoratori nei Consigli di Amministrazione di piccole e medie aziende e nei Comitati di Sorveglianza dei grandi gruppi bancari, non dobbiamo aspettarci nulla di buono. Infatti l’Abi, anche su questo argomento, ha le idee chiare: fingere di assecondare queste richieste il più possibile, come già sta facendo qualche banchiere, pur avendo già deciso per un “no categorico”, che sarà comunicato in un secondo tempo. Statene certi: vedremo le aziende rispondere, come hanno già iniziato a fare, con un iniziale atteggiamento conciliativo, tanto per calmare un po’ le acque, seguito velocemente da una brusca e definitiva chiusura. Riepilogando, le linee strategiche generali su cui l’Abi punta la prossima “discesa in campo” sono le seguenti:

– l’Abi ha come unico scopo una ripresa della produttività, da realizzare attraverso il rinnovo del contratto;

– non avendo, i Sindacati, accettato l’imposizione di un regolamento preliminare, l’Abi intende fare riferimento al Protocollo 23 luglio 1993;

– l’obiettivo delle banche è il contenimento del costo del lavoro e l’introduzione di nuove flessibilità gestionali (le banche non hanno alcuna intenzione di mantenere aumenti salariali garantiti legati all’inflazione, ma solo prevedere eventuali incentivi legati a produttività e ricavi).

Questo è ciò che pensano i rappresentanti delle banche, quello che hanno in mente di realizzare nei prossimi giorni e mesi.

La nostra risposta non si farà attendere

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