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CONTRATTO COLLETTIVO: RIPARTE IL 20 SETTEMBRE IL CONFRONTO IN ABI

di Redazione

Il confronto con Abi per il rinnovo del Contratto Collettivo è alle porte.

Un’ottima occasione, questa, per partire con il piede giusto verso un effettivo rinnovamento, sia nei metodi che nei contenuti.

Mi riferisco alla necessità che le parti, ed in particolare le Banche, dimostrino, di fronte all’incalzare della crisi, la concretezza e la capacità per condurre il negoziato, con rapidità, ai suoi esiti finali.

Parlo di concretezza e capacità, che non prevedono, quindi, il ricorso alle solite vecchie liturgie della trattativa, liturgie che abbiamo visto mettere in scena nelle fasi precedenti l’accordo sul Fondo di Solidarietà.

Il rinnovamento che mi auspico deve partire dalla volontà di cambiare il metodo del confronto, cioè il modo stesso di dialogare tra rappresentanti delle banche, dell’ABI e delle Organizzazioni Sindacali; e il primo, necessario passo è proprio l’eliminazione di tutti gli schemi superati, di tutti quegli inutili paludamenti escogitati per “tirare lungo”, temporeggiare, tentare, sempre e comunque, di pagare il minor prezzo camuffando la realtà.

Nel prossimo confronto contrattuale, la regola n.1 sarà: “non si accettano accordi al ribasso”.

La situazione di crisi che investe l’economia e vede le banche alle corde, specie per quanto concerne l’andamento dei corsi borsistici, non può essere, infatti, il solito pretesto per imporre accordi al ribasso. Questa è una premessa fondamentale.

Se crisi c’è, va affrontata con un assoluto rinnovamento dei metodi: e, allora, niente furberie, niente traccheggiamenti, niente piccoli trucchi ed espedienti da giocolieri circensi.

Se insisto su questo punto, un motivo c’è, e ben preciso: la trascorsa recente esperienza del negoziato sul fondo di solidarietà ha dimostrato che, all’interno delle banche e in alcuni suoi esponenti, sopravvivono atteggiamenti ribassisti e levantini, figli di una certa prassi di “relazioni industriali” costruita su artifici e rapporti di preferenzialità, che oggi non tiene più alla verifica del tempo. Ed appare, inesorabilmente, logora e superata.

L’ABI deve dirci quale modello di banca ha in mente: sotto il profilo organizzativo, sotto il profilo commerciale, sotto il profilo della gestione del personale e delle politiche di remunerazione dei lavoratori e del management.

Così come nella costruzione di una casa occorre partire dalle fondamenta, in questo caso le risposte certe e chiare dell’ABI devono partire dalle questioni sopra evidenziate: assetti organizzativi, ruolo del personale, politiche commerciali.

Conoscere questi elementi-base è indispensabile per garantire ai nostri rappresentati, ossia a tutti i lavoratori del sistema, un quadro di tutela che prenda avvio da un primo elemento concreto: l’adeguamento degli stipendi all’inflazione.

Se non vogliamo essere gravati dall’ipoteca della produttività in astratto – e non lo vogliamo, ne possiamo! – il nodo cruciale sta nel collegare i salari ad un incremento di produttività la cui misurazione non deve però essere utilizzata, dalle banche, per limitare l’entità degli stipendi. Così, si andrebbe subito allo scontro.

La produttività media può, invece, essere migliorata utilizzando, in maniera combinata, tutte le soluzioni già effettivamente previste dalle attuali norme. Si tratta, semplicemente, di renderle agibili.

Dobbiamo partire, quindi, dalla questione salariale per arrivare a definire come misurare oggettivamente la produttività senza scambio tra diminuzione degli addetti e finte ricompense.

Quanto ai modelli commerciali, dobbiamo mettere in guardia le banche e l’ABI dalla tentazione di volersi ritirare da alcuni territori definiti, a torto, non redditizi: la valorizzazione dei territori, da tutti reclamata, non si può ottenere riducendo le filiali o riducendo, senza apparente logica, l’orario di apertura delle agenzie.

A questo riguardo, voglio ancora ricordare i costi pesantissimi che banche e gruppi bancari sostengono per consulenze, sponsorizzazioni ed iniziative commerciali di assai dubbio ritorno e che, addirittura, generano situazioni di conflitto di interesse fra il management che le propone e le società che le attuano.

Allo stesso modo, voglio ricordare come i sistemi retributivi ed incentivanti di alcune alte fasce del management vadano depurati da costi (spesso sapientemente occultati) dovuti all’utilizzo esclusivo di appartamenti e foresterie muniti di sofisticati sistemi di allarme (collegati a centrali aziendali) a carico delle banche, in Italia ed all’estero, dall’uso di autisti e noleggiatori di veicoli ed aerei, dalla copertura di spese accessorie definite impropriamente “amministrative”.

E, ancora: si parla di legami di interesse con società che effettuano lavori edili o fruiscono di appalti nel settore immobiliare, e di situazioni poco chiare in società nate tra management e agenti.

Insomma, c’è molto, molto da fare per mettere ordine negli apparati di funzionamento delle banche.

Come per i costi della politica, occorre dare un segnale di moralizzazione che non sia soltanto di facciata ma che aiuti a dirigere gli sforzi di tutti verso situazioni più eque e compatibili.

Anche questa è “sostenibilità e sensibilità sociale”, specialmente in un momento di così alta sensibilità dei lavoratori, dei cittadini e dei consumatori.

La nuova presidenza dell’ABI, su questo versante, ha mostrato una certa apertura e disponibilità che, ci auguriamo, possa corrispondere ad effettiva coerenza nel modo di agire della delegazione dell’ABI.

Fortissime sono, poi, le contraddizioni che, nelle banche, riguardano gli assetti di governance. Non possiamo consentire che l’esclusiva leva da attivare divenga quella dei tagli al personale e del mancato rimpiazzo dei dimissionari.

Sotto il profilo delle politiche del personale, dovremo aprire all’ingresso dei giovani, prevedere il loro graduale posizionamento in ruoli di maggiore responsabilità e ridefinire il quadro della formazione interna delle risorse.

Anche in questo caso è possibile attuare programmi più qualificati e snelli burocraticamente, perciò più efficaci, senza affidare la fase di progettazione a inutili società di consulenza che, anziché insegnare, “rubano”, in realtà, il mestiere agli esperti interni.

Tutti i gruppi e le banche hanno già, nei propri ranghi, coloro che, sia sul campo che con programmi strutturati, possono collaborare alla crescita o alla riqualificazione dei colleghi.

Pertanto, un capitolo specifico dovrà essere dedicato alle politiche di assunzione dei giovani, alle politiche di formazione ed alla valorizzazione delle esperienze interne.

È poi fondamentale, in una logica di valorizzazione delle professionalità, dare un adeguato rilievo alle prestazioni dei Quadri Direttivi. Essi, più di altri, sono esposti ai venti della crisi ed alle dinamiche stressanti delle  continue pressioni commerciali e, spesso, sono gli unici su cui pesa una bella responsabilità: dover gestire unità organizzative complesse o trascurate perché dotate di mezzi inadeguati o personale insufficiente.

I Quadri Direttivi necessitano di risposte concrete e, soprattutto,  idonee al livello di responsabilità ricoperto: è inaccettabile che essi debbano ritrovarsi esposti a mobilità o spostamenti ritorsivi e che, in molti casi, siano gli unici a pagare il prezzo di errori commessi da vertici inesperti o improvvisati.

La tutela contrattuale dei Quadri deve essere tecnica e politica al tempo stesso perché essi sono il centro nevralgico delle nostre banche e, come è ben noto, i veri punti di riferimento della formazione sul campo dei colleghi meno esperti.

Altro tema, insieme contrattuale e politico, riguarda il ruolo di coloro che in banca devono pensare o ripensare gli assetti organizzativi. In questi incarichi occorre individuare i più capaci, i più competenti, i più preparati. In una definizione: coloro che, veramente, sanno.

Accade spesso, invece, di vedere che, in questo tipo di funzioni, emergono coloro che agiscono per mandato di fedeltà al vertice e che, purtroppo, ignorano completamente i problemi reali e le dinamiche produttive delle agenzie.

La competenza deve, insomma, ritornare al centro del contratto ed essere remunerata in modo equo e giusto.

E, qui, il discorso si ricollega al punto d’inizio, al modello di banca a cui tendere.

La lezione dei nostri tempi, ebbi già modo di dire, non consente fondamentalismi, ma richiede interlocutori che siano interpreti intelligenti e socialmente responsabili delle proprie istanze.

La verifica delle dichiarazioni è sempre data dai comportamenti: alle parole, insomma, devono seguire i fatti.

Il confronto con ABI e le Banche riprenderà il 20 e 28 settembre prossimi.

Due giornate, queste, che dovranno registrare una prima, energica svolta: l’avvio di un confronto vero, autenticamente calato all’interno dei problemi della categoria e rivolto a risolverli.

È una questione di metodo, di contenuti e di volontà rispetto alla quale non potremo fare sconti.

 

 

 

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2 commenti

Fabio Fiacchi 15 Settembre 2011 - 17:11

In questo delicato momento dove il fronte sindacale e’ compatto non dobbiamo mollare! In ogni azienda i colleghi hanno apprezzato il volantino a sigla congiunta x il NO alla deroga all’ art. 18. Il confronto con ABI sara’ duro e come al solito, LANDO , nel tuo blog metti alla luce del giorno verita’ e meccanismi che nessuno ha mai avuto il coraggio di affrontare. Il mio aiuto può essere solo morale , ma sappi che il 27 e 28 a palazzo Altieri ti staremo tutti dietro le spalle!!!!!!!!

Carmelo Raffa 16 Settembre 2011 - 9:03

Si avvia, quindi, la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori del credito. Ho letto attentamente che il nostro Segretario Generale mette in campo idee chiare su come affrontare il negoziato. Sono fiducioso che la nostra Federazione farà tutto il possibile per dare alla categoria un ottimo contratto, rapportato alla grave crisi economica nazionale ed internazionale che è sotto gli occhi di tutti. Se la controparte pretenderà l’impossibile teniamoci pronti ad intraprendere le opportune iniziative di lotta!

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