Home Rassegna Stampa UniCredit, via un bancario su otto (da PLUS 24, sabato 19 novembre 2011)

UniCredit, via un bancario su otto (da PLUS 24, sabato 19 novembre 2011)

di Redazione

Tra quattro anni addetti italiani ridotti del 12% – No dei sindacati- Trattativa in salita.

Le voci giravano, ma nessuno dava loro credito. Invece erano vere: il gruppo UniCredit intende “dimagrire” di 7.290 dipendenti a livello globale entro la fine del 2015. In Italia lasceranno la banca circa 5.200 bancari: uno su otto. Questo è l’obiettivo del Piano strategico 2013/15 del gruppo UniCredit presentato dall’Ad Federico Ghizzoni il 14 novembre. Appena 13 mesi fa, il 18 ottobre del 2010, con l’accordo sindacale sul modello del “bancone” furono pattuiti per il triennio 2011/13 oltre 3mila esuberi, su base volontaria e incentivata, a fronte di 2.200 assunzioni.

Il piano punta a un taglio del rapporto costi/ricavi di un decimo, per arrivare a un valore a fine 2015 del 50% circa. Tra gli strumenti per raggiungerlo, ci sono risparmi per 1,445 miliardi. Da ottenere soprattutto con una forte riduzione del personale, che impatterà in particolare sull’Italia e sull’Europa occidentale. Sulla riduzione totale di costi per 1,445 miliardi (il 9,4% in meno a livello di gruppo), il 60%, per 855 milioni, verrà dal taglio dei costi del personale, mentre il restante 40%, 590 milioni, da altri costi.

Quanto al personale italiano, la riduzione dei costi dal 2010 al 2015 sarà dell’1,4% medio annuo, con un calo di 6.500 dipendenti a tempo pieno, 5.200 dei quali da settembre 2011: il 12% dei dipendenti. Il piano sarà illustrato ai sindacati mercoledì e giovedì prossimi, 23 e 24 novembre.

La Fabi giudica negativamente il piano di UniCredit perché «scarica sul personale l’intera riduzione dei costi», ha spiegato il segretario generale, Lando Maria Sileoni. «Il gruppo UniCredit, come altri, è stato e resta un cantiere aperto del quale non si intravede la fine. Dalla fusione con Capitalia del 2005 a oggi sono oltre 15mila i lavoratori fuoriusciti. Al netto degli accordi, non ultimo quello del 2010, gli esuberi reali nelle attività italiane al 31 dicembre 2015 saranno 3.500. Nel piano non c’è nessun accenno a una politica di riduzione delle consulenze e degli stipendi del top management. Inoltre, UniCredit prevede di esternalizzare altre attività in un momento in cui stiamo discutendo di rinnovo del contratto nazionale. Sconcerta, poi, che non ci sia un accenno a nuove assunzioni. Ghizzoni sostiene di rinunciare al proprio bonus? È un’iniziativa personale che non testimonia una vera politica di riduzione dei compensi dei manager, indispensabile per un segnale di cambiamento. Ci siederemo al tavolo delle trattative con la ferma volontà di far rispettare le nostre posizioni», conclude Sileoni.

«Ribadiamo la necessità di gestire le ricadute sui lavoratori seguendo lo stesso modello di sistema, socialmente equilibrato, adottato dall’accordo dell’ottobre 2010; privilegiare la volontarietà incentivata alla pensione o al Fondo di solidarietà; definire un correlazione di solidarietà generazionale tra uscite e attenzione ai giovani, con la stabilizzazione dei rapporti di lavoro a termine e nuove assunzioni; intervenire anche sui costi operativi globali e sulle consulenze. Condizione decisiva di sostenibilità politica, all’interno di una manovra che grava ancora solo sui lavoratori, è l’equa partecipazione ai sacrifici di tutte le componenti aziendali a partire dai vertici amministrativi e dal top management: principio politicamente dirimente anche per il rinnovo del contratto nazionale», spiega Giuseppe Gallo, segretario generale della Fiba/Cisl.

«Il piano crea grande preoccupazione e perplessità: si tratta dell’ennesimo tentativo di scaricare sui lavoratori il peso di un intervento di risparmio sui costi, mentre le rassicurazioni sul contenimento degli stipendi e i bonus del management e del calo dell’uso delle consulenze sono poche, aleatorie e insufficienti», sottolinea il segretario generale della Uilca, Massimo Masi. «La Fisac/Cgil dichiara, fin da ora, la propria indisponibilità ai piani di uscita che non prevedano anche nuove assunzioni di giovani necessarie per la rete e per la costruzione del futuro dell’azienda», rimarca il segretario generale, Agostino Megale. «Ogni soluzione che prevede fuoriuscite non può che essere effettuata su base volontaria, come da tradizione nel gruppo, e dopo un confronto con i sindacati che stabilisca i tempi e le modalità dell’operazione valutandone attentamente l’impatto sui lavoratori, quelli che escono e quelli che restano», conclude Maurizio Arena, segretario generale di Dircredito. Quanto a Unità sindacale Falcri-Silcea, «Le nostre soluzioni sono: volontarietà, più part time, taglio delle consulenze, stop ai bonus del top management».

Il problema è che con l’accordo dell’ottobre 2010, sono stati posti in prepensionamento volontario incentivato quasi tutti coloro che ne avevano diritto. Percorrere oggi la strada del Fondo di solidarietà di settore è dunque difficile. Se si vorrà continuare a gestire le uscite su base volontaria e incentivata, l’azienda dovrà proporre condizioni economiche vantaggiose. Oppure riaprire l’esternalizzazione dello Shared Services Center, il “consorzione” di gruppo che dovrebbe finire in una joint venture controllata al 51% da Hewlett Packard. Una strada già bocciata dai sindacati che avevano indetto uno sciopero per il 10 ottobre, poi sospeso in attesa di decisioni dell’azienda. Date le premesse, la trattativa parte decisamente in salita.

nicola.borzi@ilsole24ore.com

 

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