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ARTICOLO 18: NO ALL'INCHINO

di Redazione

Gli ultimi sviluppi sul tema richiedono una posizione chiara ed argomentata sull’ipotesi di modifica dell’ art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970 n. 300, come modificato dall’articolo 1 della legge  108 del 1990).

Parliamo di quello che i giuristi definiscono “regime di stabilità reale”, cioè una tutela rigorosa che prevede la garanzia dell’effettiva conservazione del posto di lavoro (e, quindi, la reintegra) quando il licenziamento non sia assistito da giusta causa o da giustificato motivo.

SINTESI STORICA

L’ordinamento italiano ha avuto, al riguardo, varie vicissitudini, vedendo, nel tempo, il susseguirsi di molte norme.

Ricordo che l’art. 2118 del Codice Civile prevedeva una sorta di parità di recesso nell’ambito del contratto di lavoro.

Pensate che il recesso si definiva “ad nutum” (che in latino significa “semplice cenno” o, anche, “a discrezione”!) e indicava la possibilità, da parte del datore di lavoro, di licenziare senza fornire al lavoratore alcuna motivazione, e con il solo obbligo del preavviso. Oggi ciò è possibile, ed entro certi limiti, solo per le qualifiche dirigenziali.

È nell’agosto del 1945, nella particolare situazione del dopoguerra, che si iniziano concretamente a prendere i primi provvedimenti per impedire i licenziamenti non dovuti a colpa del lavoratore; a tale scopo, venne attribuita alle Commissioni Interne del tempo una funzione conciliativa nelle controversie in materia occupazionale.

In sostanza, il blocco ai licenziamenti durò sino al 1947, quando, in un famoso Accordo interconfederale, comparve, per la prima volta in Italia, la distinzione tra “licenziamenti per riduzione di personale” e “licenziamenti individuali”.

Altri Accordi interconfederali precisarono poi, per quanto riguarda i licenziamenti individuali, che il datore di lavoro non potesse procedere alla cessazione del rapporto se non in presenza di “giustificato motivo” o “giusta causa”, ponendo fine al semplice recesso libero prima ricordato (ex art. 2118 c.c.).

Le controversie insorte erano demandate ad un Collegio di Conciliazione ed Arbitrato che poteva fissare la reintegra o, in alternativa,  far versare al lavoratore, da parte del datore di lavoro, una penale di un valore compreso tra le cinque e le otto mensilità, elevate poi a dodici nel 1965.

La successiva legge 604 del 1966 spostò la competenza sul ricorso del lavoratore licenziato dal Collegio arbitrale al Pretore, rese competente la giurisdizione ordinaria e legittimò  l’iniziativa sindacale.

In particolare, la legge 604 si  basava sulla cosiddetta garanzia obbligatoria (tutela obbligatoria) che si traduce, in concreto,  nella scelta del datore di lavoro  tra l’obbligo della riassunzione ed il pagamento di un’indennità: il soggetto obbligato  (debitore) poteva sottrarsi  alla reintegra offrendo una prestazione economica diversa da quella originaria .

 La legge 300/70, grazie al suo articolo 18, ha, invece, rafforzato la tutela del dipendente licenziato, applicando il principio della reintegrazione reale: in concreto, il lavoratore viene reimmesso nel posto di lavoro in caso di recesso riconosciuto illegittimo. Come ricordato, la legge 108/1990 ha poi introdotto la facoltà, per il lavoratore, di richiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità.

È, quindi, dimostrato che il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo, definito dall’articolo 18, è senza dubbio molto garantista ed efficace.

LA NOSTRA POSIZIONE

Voglio, innanzitutto, ricordare che già nel 2000, attraverso un Referendum, si è tentato di abrogare l’articolo 18 e la sana tutela al lavoratore che esso garantisce: il tentativo non funzionò. Qual è, quindi, il vero motivo di un ulteriore tentativo?

Siamo davvero certi che i mali della nostra economia, la recessione, la difficoltà di trovare lavoro derivi dalla tutela accordata al dipendente in caso di licenziamento ingiustificato? Oppure, più semplicemente, si sta usando questo argomento per demolire i diritti conquistati, tentando di riportare indietro le lancette dell’orologio-progresso?

La riforma del mercato del lavoro investe temi e materie diverse. Richiede un progetto organico, basato su idee non ingannevoli, su meccanismi operativi semplici che non facciano del nostro mondo una giungla. I sistemi di tutela vanno ben oltre una norma che si è rivelata una pietra angolare del nostro diritto del lavoro. Le crisi aziendali sono sempre state affrontate, nessuno si è mai  sottratto  alla responsabilità di modificare le strutture produttive o gli assetti occupazionali.

È esattamente per  questo motivo che non ci convince il braccio di ferro inteso a colpire i diritti, senza proporre soluzioni possibili. Se vi sono proposte diverse è opportuno che si delineino con chiarezza, e senza perdere tempo.

La perdita del posto di lavoro, senza alternative valide e concrete, mette a repentaglio l’esistenza dei singoli e delle famiglie, ingenera un diffuso allarme sociale che, teniamolo bene a mente, è sempre, storicamente, l’in-put verso situazioni irrecuperabili.

Fare un danno al Paese per inchinarsi di fronte ai poteri forti non solo è ingiusto, ma pericoloso e non privo di conseguenze.

Per quanto ci riguarda, sull’articolo 18 noi non faremo alcun inchino.

Gli ultimi aggiornamenti ci dicono che, nei primi 9 mesi del 2012, l’occupazione dei giovani tra i 18 ed i 29 anni è scesa del 2,5%: 80.000 posti di lavoro in meno. Questi dati sono resi ancora più preoccupanti dal riferimento all’occupazione delle donne: ne lavora soltanto una su due, con un picco negativo del 30% al Sud.

È, dunque, più evidente che mai che il tema del lavoro riguarda i posti che scompaiono, o che non ci sono affatto e non si riescono a creare.

Non ci assoceremo di certo ad un disegno politico insano, diretto a facilitare l’espulsione dei dipendenti, privandoli di tutele efficaci e socialmente giuste. Noi non siamo disponibili.

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11 commenti

GIOVANNI PIEROTTI 20 Febbraio 2012 - 13:35

Bravo, bravo, bravo Lando.

Deciso ed equilibrato.

E’ una parola chiara e forte che tutti noi, dirigenti sindacali FABI, avevamo bisogno di sentire.

Grazie

Tieni duro!

Un abbraccio

Giovanni

Stefano Montini 21 Febbraio 2012 - 8:00

Sembra che la mission di questi governi “tecnici” sia esclusivamente quella di stravolgere tutto quel welfare che negli anni e’ stato acquisito, con in aggiunta una preoccupante cecita’ da parte loro nel non voler risolvere i veri problemi, sia Italiani che Europei.
Se di riforme del mercato del lavoro si vuole parlare , lo si faccia pure, anzi considerando la trasformazione alla quale la nostra societa’ quotidianamente partecipa e’ piu che doveroso avere sempre un’attenzione a questa ” evoluzione” sociale; l’importante e’ che non divenga una “INVOLUZIONE” .
Il semplice fatto di voler discutere dell’art 18 , come se fosse il “male oscuro” della nostra ecomonia, e’ pretestuoso, soprattutto da chi ha qualifiche in economia di notevole spessore ( i bocconiani) , e questo mi fa avere alcuni sospetti, o alla Bocconi si sono dimenticati un pezzo di economia, cioe’ quello delle soluzioni costruttive, o c’e’ malafede solo per portare il livello di disagio sociale sempre piu’ in alto con tutti i rischi che ben conosciamo.
Cmq grazie Lando, il tuo parlare chiaro e’ per me e sicuramente per tutti i colleghi della Fabi, il segnale piu’ forte e utile del quale necessitiamo nel nostro impegno quotidiano!

PRINCIPE 21 Febbraio 2012 - 11:48

Caro Lando , è ammirevole da parte tua la difesa di questa norma di civiltà che quasi tutti i Sapientoni Economici vogliono eliminare volendo far credere che essa sia la causa principale della mancanza di crescita della nostra disastrata economia, io penso che sia anche più semplicemente offrire “la testa” ai potentati economici Europei e Mondiali della cancellazione di una norma che garantisce una dignità ai lavoratori ed al mondo del lavoro concepito come progresso e benessere e non asservimento alla volontà degli umori padronali .
Siamo gli unici in Europa e forse nel Mondo ad avere tutele cosi forti a difesa dei lavoratori che probabilmente danno fastidio a tutto il sistema perche a volte basta un granello di sabbia per farlo inceppare e n on mi si venga a dire che è cosa vecchia perchè in realtà e più vecchio ciò che viene riproposto come nuovo infatti si vorrebbe ritornare al 1800 quando il lavoro era merce.
Sarebbero tante ancora le cose da dire ma mi limito qua con la consapevolezza e la certezza che farai tutto ciò che ti sarà possibile per difendere il mondo del lavoro come anche la nostra Carta Costituzionale prevede
un abbraccio e avanti tutta

Carmelo Raffa 21 Febbraio 2012 - 15:22

Il troppo e’ troppo! La grave situazione economica internazionale non può in alcun modo determinare arretramenti in materia di tutela delle fasce più deboli. Mi ha sorpreso che il Prof. Monti, reduce di aver fatto ingoiare rospi ai leaders delle forze politiche e ingenti sacrifici alle lavoratrici ed ai lavoratori, abbia dichiarato che ne ne infischia del parere dei sindacati ed andrà avanti per la sua strada. Il Presidente della Repubblica non può avallare scelte scellerate. Le Forze politiche se approveranno questi disegni ne risponderanno presto all’elettorato e lo scotto lo pagheranno di più quei partiti che hanno sempre dichiarato il proprio legame con le forze del lavoro.
Bene Lando, noi comunque, saremo con Te e faremo sentire la nostra voce e la nostra protesta!

gianni di gennaro 21 Febbraio 2012 - 17:25

Da un po’ di tempo la nostra Organizzazione è impegnata per cercare soluzioni adeguate ai mille problemi che attanagliano il Paese. Ora è giunto il momento di affrontare il delicato argomento dell’art. 18. Un macigno che chi governa, vorrebbe lanciarci contro per schiacciare i diritti dei lavoratori. Lando Sileoni, leader riconosciuto e incontrastato della F.A.B.I. ha avviato un percorso che auspichiamo possa essere condiviso da più parti. Lando, noi siamo con te per “pretendere” che le ventilate scelte irragionevoli che qualcuno sostiene di voler portare avanti anche in assenza di accordo con le parti sociali, siano oggetto di discussione, riflessione e ragionamenti.

Enzo Marino 21 Febbraio 2012 - 18:56

E’ inconcepibile che il Governo Monti ponga l’art.18 come la causa concomitante di tutti i mali e della crisi del nostro sistema.Da oltre 42 anni questo articolo a tutelato la garanzia dell’effettiva conservazione del posto di lavoro. La FABi ancora una volta è chiamata a contrastare questa insana volontà del Governo e delle aziende. Lando come sempre e nei momenti difficili fai quadrato e richiami tutti i lavoratori e le levoratrici, bene, siamo pronti a dare pan per focaccia. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

Leonardo De Santis 22 Febbraio 2012 - 11:46

Condivido in pieno l’analisi , credo potrebbe essere utile mobilitare i SAB territoriali per una campagna sul territorio.
La Fabi non è da meno a nessuno nè politicamente, nè organizzativamente.
Leonardo De Santis
dir. prov. Fabi Foggia

Fabio Basso 23 Febbraio 2012 - 10:38

L’intento che le aziende vogliono perseguire è quello di intimorire sempre di più i lavoratori ponendoli in una situazione di sottomissione con la minaccia continua di perdere il posto di lavoro non per situazioni di crisi aziendale (solo per inciso, non attribuibili di certo ai lavoratori), ma perchè non ci si adegua supinamente ai dictat della direzione.
I lavoratori bancari non sono “fannulloni” come non solo chi ci governa, ma anche i vari capi e capetti aziendali non mancano in ogni occasione di rinfacciare. Tutti abbiamo sotto gli occhi le continue e reiterate pressioni aziendali sotto i più vari fronti, spesso per onorare budget in controtendenza o comunque perlomeno “disattenti” rispetto alla realtà economica congiunturale; pure chi lavora con coscienza ed impegno subisce continui messaggi di inadeguatezza con allusioni più o meno velate od anche, nei casi più sfacciati ,minacce nelle forme più varie.
Oramai il clima generale che si respira sopratutto nelle filiali è di una generale ansia e frustrazione; va da sè che se viene meno anche uno strumento di tutela efficace come l’art.18 il disagio non potrà che aumentare ed anche la sfiducia dei colleghi nei confronti dei sindacati.

Roberto Mercurio 24 Febbraio 2012 - 20:57

Caro Lando,
la tua ricostruzione storica (dal dopoguerra allo “statuto dei lavoratori”) è ineccepibile e di grande utilità per i più giovani e per i meno giovani con la memoria corta. Infatti l’ansia di riformare l’art 18 che ormai attanaglia in modo bipartisan parte del mondo politico anche di sinistra, basta vedere la proposta del sen.Ichino, è oltremodo preoccupante. Non è certamente riducendo le tutele che si crea nuova occupazione e soprattutto buona occupazione. Ed il tuo “NO ALL’INCHINO” è musica per le orecchie di chi crede che stiamo realmente rischiando di tornare decenni indietro rinunciando ad importanti conquiste in termini di tutele del lavoratore. Tira una brutta aria nel nostro Paese. L’auspicio è che si torni alla ragione e che il mondo dell’impresa, quello politico ed il Governo attuale comprendano che per favorire la crescita occorre ridurre la burocrazia, modernizzare il Paese rimuovendo le barriere all’ingresso di tante professioni e attività, inventarsi un fisco più equo……insomma non è l’art.18 il problema.

Giuseppe Romeo 18 Marzo 2012 - 18:06

Gentile Lando
prendo spunto dalle recentissime evoluzione del dibattito politico. Tra le varie proposte dei Sindacati confederali (di maggiore o minore avvicinamento) nessuno si è preoccupato ancora di chiedere tutele specifiche per i dirigenti sindacali. Secondo me, però, si tratta di una dimenticanza non da poco.
Come noto si sta profilando la distinzione tra licenziamenti discriminatori, disciplinari e per motivi economici. Questi ultimi in particolare concedono una grandissima discrezionalità alle aziende, salvo poi dover corrispondere un indennizzo. Quindi si può anche, ad esempio, licenziare un dirigente sindacale “fastidioso” perché l’ufficio in cui lavora o che coordina, non sarebbe sufficientemente produttivo o redditizio o in prospettiva sarebbe appaltabile all’esterno. Poi spetterà al dirigente sindacale dimostrare che non è vero, che non esistono motivi economici ed adire così al giudice del lavoro per chiedere che venga considerato discriminatorio (non si capisce neanche che fine farebbe l’art. 15/L. 300). Non solo, mi spingo oltre: l’ufficio, il desk, il portafoglio in cui o per cui lavora il sindacalista è sicuramente poco produttivo, non fosse altro perché, avendo impegni sindacali, lavora meno di altri colleghi per l’azienda.
Il sistema attuale di proposte porterebbe inevitabilmente alla fine del sindacalismo aziendale di base, delle RSA, degli RSU, in quei contesti in particolare in cui il dirigente sindacale non ha i numeri per avere il distacco, ma lavora (e quindi si confronta con gli obiettivi aziendali) per tre/quattro giorni la settimana. In conclusione ritengo che la questione meriti una certa attenzione e ti chiederei pertanto di voler portare tali considerazioni ai Segretari confederali che siedono al tavolo con il Governo.
Un cordiale saluto
Giuseppe Romeo
Segretario Provinciale FABI Catanzaro
3492636523

tiziana 21 Marzo 2012 - 14:20

L’intento è palese: spostare la precarietà dai figli ai padri. I figli costano meno alle imprese.
Prima si innalza l’età pensionabile facendo finta di ignorare che già a 50 anni un lavoratore è considerato “vecchio” (e le imprese si affrettano appena possono a prepensionarlo)
Strano che nessuna impresa abbia protestato alla prospettiva di convertire in un reparto geriatrico la propria azienda!!! Ed ecco perchè: con questa seconda parte della manovra, smontare l’articolo 18 si potranno tranquillamente svecchiare gli uffici licenziando il lavoratore con la scusa della crisi!!! Tutte le imprse oggi stanno dichiarando problemi economici. Cosa sono 23 o 26 non ricordo mensilità in cambio della fuoriuscita di un lavoratore 15 anni prima dell’età pensionabile? NON SONO NIENTE!!!!

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