Home Dal Web Al primo posto la libertà o l’uguaglianza? (da La Repubblica.it, lunedì 12 marzo 2012)

Al primo posto la libertà o l’uguaglianza? (da La Repubblica.it, lunedì 12 marzo 2012)

di Redazione

(da “Percentualmente” di Rosaria Amato)

Domanda oziosa? Eppure la risposta data dalla media degli italiani nell’ambito di un’indagine internazionale, osserva Giovanni D’Alessio, autore dello studio “Ricchezza e disuguaglianza in Italia”, (collana “Questioni di economia e finanza” della Banca d’Italia), è molto diversa da quella dei cittadini degli altri Paesi occidentali. Mentre nell’80% dei casi (compresi Paesi europei come Francia, Spagna e Germania) l’intervistato opta per la libertà, invece la quota di italiani che mette al primo posto l’uguaglianza supera di 10 punti la quota di chi sceglie la libertà (49 contro 40%, con un restante 11% di indecisi).

Dall’indagine emergono altri aspetti interessanti: l’Italia è al 48esimo posto su 55 Paesi per il ruolo assegnato all’impegno e al lavoro per il raggiungimento del successo economico. In definitiva, per noi il successo non è questione d’impegno, ma “di fortuna e di relazioni”.

Sono probabilmente risposte che riflettono una situazione che nel tempo si è incancrenita. Nel 1987, ricorda lo studio di Bankitalia, “le famiglie con persone di riferimento costituite da operai e pensionati presentavano i livelli più bassi di ricchezza media familiare, pari a circa il 60% dell’ammontare medio”. Le famiglie più ricche erano quelle dei liberi professionisti, degli imprenditori, dirigenti, lavoratori autononomi, la cui ricchezza presentava valori doppi rispetto alla media.

Il problema è che al 2008 non solo non ci sono miglioramenti nella disuguaglianza, ma le famiglie di operai passano dal 60% al 45% del livello medio generale. Guardando alle classi di età, emerge anche un forte impoverimento delle famiglie giovani, soprattutto a partire dal 2000. Mentre le famiglie di liberi professionisti rimangono a un indice del 200% (pur arretrando un po’), e quelle di imprenditori si “difendono” a quota 153%. Negli anni ha acquisito sempre più peso la ricchezza derivante da trasferimenti (eredità o donazioni): si situa tra il 30 e il 55% del totale.

A questo punto, conclude l’autore, considerato che “il rapporto tra la ricchezza e il reddito è all’incirca raddoppiato negli ultimi decenni”, e che è aumentato il peso dei redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro, appare inadeguato “il carico fiscale sulla ricchezza”, che all’inizio degli anni Duemila era già “tra i più bassi d’Europa”, e che nel decennio successivo è “diminuito sensibilmente”.

L’autore suggerisce interventi più ampi dei semplici traferimenti di ricchezza effettuati attraverso la tassazione. Individua alcune direttrici, che possono permettere alla massa degli svantaggiati nel nostro Paese di superare le barriere invisibili che li tengono lontani non solo dalla ricchezza, ma nella maggior parte dei casi anche dal benessere: migliorare la scuola pubblica, migliorare i servizi pubblici, soprattutto nel Mezzogiorno, operare interventi a favore dei giovani nel mercato del lavoro e sul welfare.

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