Home Rassegna Stampa La crisi in banca, in bilico 28 mila posti – Le ipotesi sul Fondo di solidarietà. I sindacati si appellano al governo (da CORRIERE DELLA SERA, sabato 21 luglio 2012)

La crisi in banca, in bilico 28 mila posti – Le ipotesi sul Fondo di solidarietà. I sindacati si appellano al governo (da CORRIERE DELLA SERA, sabato 21 luglio 2012)

di Redazione

MILANO — Se una volta l’autunno caldo era tradizionalmente degli operai, adesso a mobilitarsi sono soprattutto i bancari. I circa 325 mila dipendenti del settore sono presi tra l’incudine della crisi che azzoppa i rendimenti delle banche e impone tagli nei costi, e il martello della riforma delle pensioni che ha privato gli istituti della tradizionale valvola di sfogo dei prepensionamenti. Non a caso dei 65 mila primi esodati individuati dal governo 15 mila sono proprio bancari. E l’accelerazione nel taglio degli organici è drammatica: se dal 1993 al 2010 i bancari sono diminuiti complessivamente di circa 38 mila unità, entro il 2015 sono attese 28 mila uscite: «Una rivoluzione», riconosce Lando Maria Sileoni, segretario generale Fabi. I mesi a venire saranno pesanti e non si distinguerà tra gruppi maggiori — in questi giorni stanno scioperando in Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mps — e di minori dimensioni fino alle banche di credito cooperativo, con in media un 10% del personale di troppo. Il prossimo annuncio dovrebbe arrivare mercoledì dalla Bpm: si parla di circa 800 esuberi su 8 mila dipendenti. Montepaschi ne ha previsti 4.600 su 31 mila, metà dei quali attraverso le esternalizzazioni. E non è finita: altri 1.500 sono gli esuberi di Ubi (su 19 mila), 450 quelli di Bper, 246 di Veneto Banca, 150 del Credito Valtellinese, 250 di Popolare di Bari, 200 di Banca Etruria. Intesa Sanpaolo è nel guado: nel 2011 aveva avuto 5 mila richieste per uscite anticipate su 70 mila dipendenti poi congelate dopo la riforma Fornero perché la maggior parte si sarebbe ritrovata senza stipendio o senza lavoro, come è già successo ai primi 500 esodati del gruppo milanese. Da qui il nuovo braccio di ferro con i sindacati, visto che Intesa vuole farsi carico di quei lavoratori ma chiede più flessibilità e minori costi per recuperare i 250 milioni di risparmi preventivati. Un dossier complesso che sarà preso in carico da Francesco Micheli, responsabile dell’Abi per le relazioni sindacali e proprio ieri nominato chief operating officer di Intesa Sanpaolo con delega anche sul personale (Gianemilio Osculati ha preso il coordinamento del wealth management). Anche Unicredit aveva stimato 3.500 uscite poi ridotte a 800 dopo la riforma Fornero, e allo stesso modo si sono fermati Banco Popolare (300) e Bnl (370).

Non che all’estero se la passino meglio. In Usa sono oltre 17 mila i posti da tagliare nel 2012 (dopo i 63 mila del 2011), tra questi Morgan Stanley (4 mila), Bank of America (30 mila in tre anni), Goldman Sachs, mentre in Europa Deutsche Bank ne taglierà mille e Credit Suisse 3,500. La crisi d’altronde ha colpito tutti e dunque le banche devono cambiare «natura genetica», ha spiegato nella relazione annuale il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari. Gli sportelli, fino a pochi anni fa contesi tra i gruppi che li pagavano 5-6 milioni l’uno, ora vengono chiusi senza rimpianti. Le filiali vengono ridisegnate, ridotte nel personale e orientate alla consulenza più che all’attività bancaria classica e burocratica, spesso appaltata all’esterno. Per non parlare di internet, che ha eliminato la necessità stessa dello sportello.

Ma se cambia la banca, deve cambiare anche il contratto che regola il lavoro: meno stipendi uguali per tutti, salari collegati alla produttività, più riconoscimenti al merito individuale. «Il bancario è cambiato, è già un operatore universale», si difende Sileoni. «La crisi va affrontata anche con il contenimento dei costi per i dirigenti, per le consulenze, le pseudo sponsorizzazioni», aggiunge Agostino Megale (Fisac-Cgil), «servono contratti di solidarietà espansivi che prevedano la redistribuzione del lavoro assumendo i giovani, attingendo al nostro fondo di solidarietà. E se il governo non promuoverà gli accordi, si andrà allo sciopero generale contro Monti». E Sileoni rilancia: «L’Abi dovrebbe avere il coraggio di chiedere al governo lo stato di crisi per il settore e l’acceso alla cassa integrazione. Se poi invece si vuole un rapporto più stretto tra capitale e lavoro, si apra alla presenza dei lavoratori nei consigli di amministrazione o di sorveglianza».

Fabrizio Massaro – fmassaro@corriere.it

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