Home Editoriali CANTIERE BANCA (La Voce dei Bancari, Settembre-Ottobre 2012)

CANTIERE BANCA (La Voce dei Bancari, Settembre-Ottobre 2012)

di Redazione

La crisi, purtroppo, si abbatte sui lavoratori di tutti i settori produttivi. Taglia il tenore di vita delle fa-miglie, abbassa i consumi di beni durevoli, limita gli acquisti di beni essenziali: trasforma, essenzialmente, la vita lavorativa in una lotta quotidiana, e la realtà viene vissuta nell’emergenza e nell’incertezza. La crisi scatena, contemporaneamente, due diverse, e ugualmente perverse, conseguenze: frustra e vanifica le speranze e la fiducia nel futuro dei giovani, che non riescono a superare la barriera che li separa dal mondo del lavoro; accelera il processo di espulsione dei lavoratori più maturi, ritenuti “vecchi”, pezzi inservibili, inutili oggetti da rottamare già a 55 anni, senza offrire loro alcuna seria alternativa di impiegabilità.

L’Abi, le banche, hanno in mente di rottamare i 55enni: un progetto devastante a cui ci opporremo con tutta la nostra forza, come è gia avvenuto un anno fa, quando abbiamo impedito l’introduzione dell’ “indennità di disoccupazione” nel nostro settore, che avrebbe obbligato i 55enni al prepensionamento. Una terza grave conseguenza è rappresentata dalla sottoccupazione femminile, che contribuisce a rendere la situazione occupazionale generale palesemente drammatica. A tal proposito, basti pensare agli oltre cento tavoli di crisi aperti presso il ministero dello “sviluppo” – e qui il termine “sviluppo” suona vagamente contraddittorio – del quale è responsabile l’ex banchiere Corrado Passera.

In questo scenario, comune a tutti i settori, si inserisce lo specifico del comparto bancario, divenuto il centro della crisi, flagellato da piani industriali fotocopia che si differenziano, l’uno dall’altro, soltanto per il numero degli esuberi e per l’intensità con la quale le banche pretendono di tagliare i costi del personale, senza ricercare alcuna credibile alternativa per il recupero dei ricavi e dei margini. Sui piani industriali, ma le banche lo negano fino alla morte, pesano le sofferenze bancarie, che sono aumentate un po’ per effetto della crisi economica e, molto, per la cattiva qualità del credito erogato ai “soliti noti”, come ho personalmente evidenziato al Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Se è pur vero che la crisi è in atto, è altrettanto evidente che, per i banchieri, essa è diventata motivo per regolare, una volta per tutte, i rapporti di forza con il sindacato, e pretesto per “normalizzare”, riducendolo definitivamente, il peso dei lavoratori all’interno delle banche. Lo strumento principale attraverso cui i banchieri intendono realizzare i loro propositi sono i piani industriali in corso. I piani industriali delle banche (specie dei grandi gruppi) sono, infatti, costruiti secondo un modello elementare e diabolico: espellere i lavoratori in eccesso, ridurre i punti operativi e le filiali, esternalizzare attività (magari affidandole a mani complici o amiche, come vorrebbe fare il Gruppo MPS), imporre riduzioni retributive di trattamento e di qualifica, senza neppure porsi il problema degli impatti sociali di queste azioni. Ciò che davvero sconforta è, infatti, la totale mancanza, da parte dei vertici aziendali, di minimi scrupoli etici riguardo gli effetti delle azioni promosse. Sembra totalmente mancare la consapevolezza della devastante portata sociale delle azioni avviate e delle loro conseguenze sulle singole persone. La cinica visione tattica di certi banchieri, che respinge ogni vera disponibilità al confronto ed ogni ipotesi solidaristica, sembra aperta esclusivamente a considerare semplici – ed insufficienti – misure di mitigazione, meglio se adottate unilateralmente in modo da escludere il sindacato da ogni forma di vero negoziato. Secondo la mentalità oggi prevalente in Abi – mentalità neanche vagamente dissimulata – non si intende negoziare, ma si pretende che il sindacato, per conto dei lavoratori, prenda atto della crisi e sottoscriva, senza opporre resistenza, una sorta di contratto di adesione nel quale le clausole sono state scritte ed imposte da una sola parte. Mi sono particolarmente soffermato su questi temi perché è mia intenzione chiarire le false premesse delle manovre di riduzione in atto, manovre che vedono a rischio di cancellazione oltre 20.000 posti di lavoro. Ripeto: 20.000 posti di lavoro. Quindi, ci dobbiamo forse rassegnare?

La risposta è un secco NO. Risposte e soluzioni diverse, rispetto all’arrogante unilateralità delle banche, sono concretamente possibili ed è nostra ferma volontà perseguirle secondo una logica di equità. Innanzitutto, dovremo trovare, con scrupolo ed attenzione, valide alternative alle singole uscite, studiandole caso per caso. Questo è un nostro dovere primario. Ma, attenzione: lo è altrettanto per i vertici aziendali, se davvero intendono recuperare la credibilità propria e dell’intero sistema bancario. Dovremo inoltre seguire, come via preferenziale, la direzione dell’accompagnamento alla pensione attraverso il Fondo di solidarietà: una scelta che non dovrà imporre forzature, ma che dovrà attenersi a logiche di adesione volontaria, al fine di tutelare le specifiche professionalità e la vita personale di ogni lavoratore. Dovremo agire, poi, sui sistemi di solidarietà espansiva e difensiva, attraverso l’adozione di misure organizzative combinate che riducano al minimo le uscite (concordate) a carattere definitivo. Dovrà essere, poi, nostro preciso impegno tutelare le fasce più deboli dei lavoratori che per età, localizzazione territoriale o situazione soggettiva si trovino in condizioni di disagio o svantaggio: questo perché, oltre al reddito, è fondamentale che venga salvaguardata anche la dignità delle persone. Infine, proprio per coerenza con il nostro ruolo, non solo tecnico ma di soggetto “politico”, dovremo farci carico di aprire spazi concreti per avviare un ricambio che favorisca l’apertura ai giovani e che limiti il precariato. La nostra storia e il nostro presente ne sono prova: non abbiamo paura del nuovo, non abbiamo timore del confronto. Non diamo, però, nulla per scontato. Vogliamo costruire soluzioni, partecipare consapevolmente alle scelte del futuro, dimostrare concretamente che la categoria dei bancari non è affatto un peso ma una componente indispensabile per avviare la ripresa e lo sviluppo.

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