Home Dal Web Il banchiere che presta soldi a mendicanti, straccivendoli e lebbrosi per liberarli dagli usurai (da Repubblica.it, venerdì 28 marzo 2014)

Il banchiere che presta soldi a mendicanti, straccivendoli e lebbrosi per liberarli dagli usurai (da Repubblica.it, venerdì 28 marzo 2014)

di Redazione
È ciò che ha fatto un uomo di nome Joseph Santhumary Parthiban, direttore di una filiale di banca di Salem, nel Tamil Nadu. Il suo racconto  in un documentario di Andrew Hinton, con un viaggio che, come quello del premio Nobel Muhammad Yunus, comincia dietro l’ufficio.
 
 Il banchiere che presta soldi a mendicanti, straccivendoli e lebbrosi per liberarli dagli usurai
– Joseph Santhumary Parthiban – 

NEW DELHI – Tutti conoscono il celebre Muhammad Yunus, il Banchiere dei poveri, com’è stato chiamato ben prima di ricevere il Nobel della Pace. Quando era un professore dell’università di Chittagong in Bangladesh, uscendo dall’aula e girando per i villaggi, scoprì che con prestiti di poche rupie avrebbe potuto cambiare la vita di molte persone. E così fece. Dimostrando, tra l’altro, che non solo si faceva del bene, ma ci si guadagnava. Com’è noto, la sua Grameen Bank, l’istituzione da lui creata, è ormai sinonimo di microcredito, e negli anni è diventata una entità enorme, che comprende una compagnia telefonica. Tanto che il governo del Bangladesh, un tempo socio di minoranza, ad un certo punto l’ha voluta tutta per sé e ha mandato in pensione il fondatore, aprendo una polemica che ha coinvolto gruppi internazionali e governi, come quello americano schierati dalla parte di Yunus. Ma nessuno è riuscito a salvare il Nobel dal benservito del governo, né dalle accuse successive di aver speculato e fatto arricchire parenti e soci, a discapito dei beneficiari che, com’è noto, erano soprattutto donne.

Conti aperti ad handicappati e questuanti. Vero o falso, la sua impresa esemplare, quantomeno all’inizio, ha meritato l’attenzione del mondo. Ma prima e dopo di lui molti altri individui, senza grandi parole, premi e propaganda (né polemiche), sono diventati banchieri dei poveri perché hanno spiegato semplicemente l’importanza del piccolo risparmio e aperto conti a chiunque, perfino i mendicanti, gli straccivendoli, gli handicappati e i lebbrosi. Liberarli dalla schiavitù dei prestiti, che si moltiplicano per ogni esigenza della famiglia, spesso senza lasciare altre scelte che il suicidio (l’India ha uno dei tassi più alti al mondo), è ciò che ha fatto nel suo piccolo un uomo di nome Joseph Santhumary Parthiban, direttore di una filiale di banca di Salem, nel Tamil Nadu. Recentemente ha raccontato la sua avventura di banchiere dei mendicanti in un bel documentario di Andrew Hinton, con un viaggio che – come quello di Yunus – comincia dietro l’ufficio.

Le rate da pagare agli strozzini. “Lavoro a Salem, nel Sud dell’India – si presenta – e dirigo una filiale di banca. Ma non mi sono mai visto come uno che siede in ufficio e segna carte. Di solito esco fuori a pranzo e nel pomeriggio vado in giro per il quartiere, dove incontro molti venditori di strada, lustrascarpe, disgraziati di ogni sorta. Tutti vengono dai villaggi in città col solo sogno di fare qualche soldo. Ma hanno un problema serio: non riescono a mettere da parte soldi, perché devono risparmiare per restituire vecchi prestiti ai privati, che chiedono rimborsi sempre più alti. Molti non ce la fanno mai ad estinguere il debito e gran parte dei loro guadagni se ne va per le rate degli strozzini. Allora ho pensato di consigliarli di mettere i soldi in banca, ma per non farmi fraintendere, ho prima fatto amicizia con alcuni dei negozianti dai quali andavo sempre a prendere il thè o la frutta e coi mendicanti. Ero sorpreso che arrivassero a guadagnare anche 500 rupie al giorno (8 euro, una somma altissima nell’India rurale) ma poi scoprivo che alla fine di ogni giorno ne dovevano dare gran parte ai prestatori di soldi.

Più rispetto per se stessi. Dopo esserci entrato in confidenza, gli ho detto: “perché non mettete ogni giorno qualcosa del vostro guadagno in un conto corrente e piano piano avrete qualcosa per ripagare il debito e anche portare delle rupie a casa?”. Non dissi che ero un dirigente della banca e un giorno ho visto che un gruppo di 5 di loro sono entrati per depositare i risparmi. Avevo già avvisato gli impiegati del loro probabile arrivo e non ci sono stati problemi di formalità. Più tardi, durante la mia solita passeggiata, mi hanno detto, “ah, tu lavori nella banca?” Così li ho invitati a tornare e parlare direttamente con me. Gli ho dato qualche consiglio pratico così, a forza di mettere pochi risparmi alla volta, hanno per prima cosa fatto a meno degli usurai. Per motivarli è bastato dirgli che se riescono a vivere di quello che guadagnano senza dover ripagare gli alti interessi dei debiti avranno non solo abbastanza soldi, ma più rispetto di sé stessi”.

“Voglio che mio figlio diventi insegnante”. “Poiché non guardiamo al loro aspetto o a quello che fanno per vivere, prendiamo in considerazione ogni singolo caso e ora raggiungiamo anche molti villaggi isolati dove non ci sono mezzi pubblici per venire in città. Allora mando la mia gente da loro”. Nella sua casa circondato da figli, moglie e nonni, un giovane contadino chiede un prestito di 25mila rupie, 400 euro, per comprare più capre, così da mettere da parte qualcosa per dare ai figli un’educazione. “Voglio che mio figlio diventi insegnante e potrà aiutare gli altri”, dice. “Per me come banchiere – racconta Santhumari – non è un problema di trattare con i soldi, ma trattare con gli uomini, con le loro aspirazioni e i problemi. Anche i disabili o i malati di leprosi vengono da noi e li organizziamo così da trasportarli tutti insieme in banca, anche per creare il senso del gruppo”. E col gruppo, nell’idea di questo impiegato che arriva dove i politici falliscono, arriva anche il lavoro.  

Gente senza cibo né vestiti. Una ragazza vuole un prestito per comprare un bufalo. “Come lo ripaghi?”, le chiede Santhumary. “Lavorerò i campi e venderò latte”, dice al banchiere. Ha vent’anni e un viso aggraziato, ma le sue mani sono deformi, le dita gigantesche come tuberi. “Dopo che mi sono diplomata – spiega – sono andata in città a creare lavoro. Ma quando hanno visto le mie mani non mi hanno voluto”, dice, e inizia a piangere sommessamente. Santhumary la consola: “Hai i tuoi genitori, un marito che ti vuole bene, e queste 4 capre che ti danno il latte. Non serve piangere”, le dice. La ragazza pensando alle capre ride e il ghiaccio è sciolto. “Vedo gente che non ha vestiti, né cibo – riprende a raccontare il banchiere – ma basterebbe poco per dargli una mano, anche nei villaggi più sperduti dove sembra impossibile trovare un lavoro. In una delle aree più remote della provincia lo aspettano decine di contadini, tuttofare e disoccupati, gente semplice, che non si è mai organizzata insieme per combattere la povertà all’origine anche di tensioni, gelosie, sofferenza quotidiana.

Quando può nascere una piccola azienda. Santhumary consiglia la piccola folla di aprire una fabbrica di mattoni alla periferia del villaggio. “Dove li comprate adesso”? chiede. “Andiamo a prenderli a 60 km da qui”, gli rispondono. E’ subito evidentente che con un finanziamento distribuito a tutte le famiglie interessate può nascere una piccola azienda in grado di sfamare parecchi di loro, ma semplicemente nessuno glielo aveva prospettato prima, né aveva offerto un prestito da ripagare con i proventi del lavoro. “Quando cercate qualcosa per guadagnare soldi  –  gli spiega per far capire l’importanza di coalizzarsi – non pensate solo a voi stessi o alla famiglia, ma all’intera comunità, al villaggio, al circondario. Se sarete tutti soci, sicuramente vi daremo il prestito”. Poi spiega all’intervistatore: “Quando la gente si mette insieme e l’impresa ha successo, sono tutti soddisfatti, e l’intero villaggio festeggia”.

Cambiare l’atteggiamento verso la vita. “Molti – racconta – avviano piccole cliniche di primo intervento finanziate con una parte dei guadagni, in certe aree aprono anche piccole librerie e si crea un senso di unità che prima non esisteva. Possiamo parlare  di economia globale, di crisi economica, di dover cambiare drasticamente l’intero sistema, ma più importante è coltivare (educare) la gente. Se si fa così, ogni cosa va al suo posto. Se li aiuti a cambiare l’attitudine verso la vita, e domandi loro che cosa fanno, perche lo fanno, come potrebbero farlo, credo che li puoi aiutare anche a risolvere tutti i problemi che oggi fanno i grandi titoli dei giornali”.

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