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ASSEMBLEA UBI, LA FABI SULLA STAMPA

di Redazione

Il leader della FABI, Sileoni, all’indomani della trasformazione di UBI in SPA: “No a bagni di sangue in termini di esuberi. Sì alla presenza dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli”. La dichiarazione ripresa da tutti i quotidiani locali e nazionali

L’ECO DI BERGAMO (EDIZIONE NAZIONALE E SU ALTRE 3 PAGINE), domenica 11 ottobre 2015
 
«Più spazio a lavoratori e piccoli azionisti» – Dipendenti nei consigli. La banca: ma la legge dice no. I sindacalisti preoccupati per i futuri esuberi da fusioni
 
PIERLUIGI SAURGNANI
Un dibattito al cloroformio se confrontato con le scintille delle precedenti assemblee. La trasformazione da banca cooperativa in spa è filata via in modo placido e l’assemblea si è conclusa all’ora di pranzo, giusto in tempo per il tradizionale banchetto offerto ai soci. A dirigere il traffico dei soci parlanti è stato il presidente del Consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio, preso di mira per il suo ruolo di presunto fustigatore dei logorroici. Il socio Giuseppe Tocchetti gli ha dato né più né meno dell’orologio, mentre Elman Rosania ha dapprima inscenato una vivace protesta davanti al tavolo della presidenza e poi, per restare nei tempi (sforati), ha letto il suo intervento alla velocità della luce, un po’ come in un film Luce. In tema invece di deleghe, a Mario Bianchi («Insieme per Ubi») che ha lamentato difficoltà ad ottenerle, Moltrasio ha presentato le scuse per eventuali incomprensioni segnalando comunque che erano più di 2 mila. Quanto al tema centrale della riforma, gli ostili se la sono presa col governo, mentre la dirigenza della banca è stata biasimata per la «fretta» con la quale si è adeguata ai voleri politici. «Era meglio aspettare l’esito dei ricorsi al Tar», ha detto il presidente dell’associazione «Ubi, banca popolare!» Antonio Deleuse Bonomi, ma Federico Caffi ha replicato che «non è detto che il 10 febbraio il Tar emetta un provvedimento. Comunque, sia nel caso di accoglimento che in quello di bocciatura, ricorsi darebbero
luogo a ulteriori ricorsi alla Corte costituzionale o al Consiglio di Stato. I tempi diventerebbero lunghi. E la banca ne sarebbe paralizzata». Bonomi ha poi messo in guardia dai rischi di un «allontanamento della banca dai territori e dai piccoli soci», ipotizzando maliziosamente che «i vertici della banca abbiano approfittato delle novità legislative per attuare una riforma già pensata». Sulla sponda opposta, Pino Roma, dopo aver censurato l’immobilismo delle altre Popolari che non hanno imitato l’autoriforma di Ubi, ha invece garantito che «Ubi non perderà la sua vocazione territoriale». Per il socio Piero Lonardi «non è la forma giuridica a dare efficienza alle aziende e in ogni caso le Popolari hanno dimostrato di essere più efficienti delle spa. I capitali, poi, vanno nelle aziende che creano valore». Critiche anche all’autoreferenzialità delle banche e al voto palese in assemblea, «che non tutela la libertà di voto dei dipendenti». Folta la schiera dei sindacalisti, Lando Sileoni, Attilio Granelli (Fabi), Paolo Citterio (Fabi Bergamo) Andrea Battistini (First- da Claudia Dabbene (Uilca) Emilio Contrasto (Unisim). Tutti hanno deplorato il decreto governativo e tutti hanno chiesto una rappresentanza dei lavoratori nei Consigli della banca, come avviene all’estero. Ma Moltrasio li ha stoppati spiegando che «in Italia per il Testo unico della finanza i lavoratori sono ineleggibili». Sileoni ha anche suggerito «la costituzione di comitati dei territori e dei soci azionisti», mentre Granelli e Battistini hanno invitato la banca ad avere «sensibilità sociale» nei confronti dei lavoratori (si stimano 20 mila esuberi in Italia in vista delle fusioni bancarie) quindi Citterio ha prefigurato un «futuro pieno di insidie, contro il nuovo capitale da fuori non ci saranno Bergamo o Brescia che tengano». Un po’ imbarazzato dagli elogi sindacali (di Sileoni e Granelli) per il suo ruolo di ex direttore generale Ubi, Graziano Caldiani, oggi presidente degli «Amici di Ubi» ha detto che bisogna «favorire la partecipazione informata dei piccoli azionisti alla vita della banca»; e il presidente del Consiglio di gestione Franco Polotti ha replicato a chi ha parlato di «due anime» della banca: «Ubi ha un’anima comune che tutela gli interessi dei territori in cui opera». Infine, Aurelio Marcellini si è detto «depredato del titolo di socio che avevo da 50 anni» e ha chiesto alla banca di rimediare con una medaglia alla semisecolare fedeltà, mentre il socio Dario Foresti è andato dritto al sodo: «Il dividendo 2016 sarà più ricco?». Ma nessuno è stato in grado di rassicurarlo.
L'ECO DI BERGAMO

CORRIERE DELLA SERA (NAZIONALE), domenica 11 ottobre 2015

Popolari, Ubi si trasforma in Spa «Adesso parliamo con il Banco» – Il ceo Massiah: ma le fusioni non sono facili. Sì dal 99% dei soci alla riforma Renzi

DAL NOSTRO INVIATO A BRESCIA Alle 12.39 un voto plebiscitario del 98,88% dei 5.032 soci approva per alzata di mano la trasformazione di Ubi Banca da popolare a società per azioni. Finisce cosi, in poco più di tre ore, senza scontri, la prima assemblea societaria che si adegua alla riforma Renzi. Un’assise veloce, segno che i soci avevano già maturato la convinzione che un mondo cominciato oltre un secolo fa aveva ormai fatto il suo tempo. «Soddisfatto» il ministero dell’Economia, che twitta: «Con spa si rafforzano banche, più credito alle imprese frutto riforme».

Ora comincia una nuova fase, in cui conterà chi ha le azioni e dove si faranno sentire gli investitori istituzionali, che hanno in mano il 45% del capitale. In primavera ci sono da rinnovare i consigli, ma soprattutto ci si avvicina alla fase delle fusioni tra banche, l’obiettivo finale della riforma. «Noi siamo aggreganti», scandisce il ceo Victor Massiah. «Non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche tra cui anche il Banco Popolare». Ma «bisogna essere molto attenti. Si è gridato al lupo da ottobre dell’anno scorso e non è avvenuto niente perché non è ovvio che una operazione di fusione crei valore». Dunque nessun intervento «dirigistico» dall’alto, per esempio per una fusione con Mps: «Escludo che il governo faccia questo. Per quello che ho potuto comprendere dai contatti avuti con la Banca d’Italia e il ministero dell’Economia, sono istituzioni ispirate a non invadere il ruolo del mercato. Possono stimolare, auspicare, ma lì si fermano. Per questo dico: scegliamo noi. Poi se Mps bussa alla porta, non ho motivo di dire che non rispondo a Mps». I rischi sono anche occupazionali, e per questo ieri Lando Maria Sileoni, leader della Fabi, diceva no a «bagni di sangue» con gli esuberi e chiedeva un posto per i lavoratori nei consigli di sorveglianza. Altra partita sarà la governance. Forte del suo 2,23% in Ubi che ne fa il primo socio dopo i fondi, un ruolo di azionista “stabile” lo rivendica Enzo Falco, presidente della Fondazione Cr Cuneo. Ma anche i soci storici (i bresciani ex Banca Lombarda e i bergamaschi ex Bpu) e la Fondazione Banca del Monte di Lombardia (all’1,9%) «immagino che vorranno organizzarsi tra loro per suggerire figure per gli organi collegiali», dice il presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, che come pure il presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti, è «a disposizione, se serve alla banca». Fabrizio Massaro – © RIPRODUZIONE RISERVATA

CORRIERE DELLA SERA (EDIZIONE BRESCIA), domenica 11 ottobre 2015
 
Dopo otto anni Ubi diventa Spa – Via libera, maggioranza bulgara – Il sì dal 98,87% – Non votano a favore 5 consiglieri della Sorveglianza
 
L’esito non era in discussione. Ma la «maggioranza bulgara» con la quale l’assemblea di Ubi ha dato il via libera alla trasformazione in Spa, è il segno di quanto i soci fossero «preparati e consapevoli». Alla fine su 5.032 presenti (nella sede centrale di Brescia e nelle quattro sedi distaccate di Bergamo, Milano, Cuneo e Jesi) voti favorevoli sono stati 4.975 pari al 98,87%, solo 25 contrari e 31 astenuti. Un plebiscito che ha fatto piazza pulita dei dubbi sulla riforma (mal digerita da molti, ma alla fine applicata visto che non c’erano vere alternative) ma anche delle critiche sulla tempistica, rispetto alla presunta «fretta» con la quale Ubi ha voluto fare da apripista alla metamorfosi. La legge del 26 marzo scorso impone alle dieci banche popolari con più di 8 miliardi di attivo, di abbandonare il modello cooperativo e diventare Società per azioni entro il 2016. Ubi è stata la prima a farlo per almeno tre motivi, snocciolati dal presidente del Consiglio di Sorveglianza Andrea Moltrasio: garantire stabilità alla nuova governance, arrivando al rinnovo delle cariche del prossimo aprile con un assetto societario già adeguato; eliminare il clima di incertezza legato alla trasformazione, così che la banca possa concentrarsi sull’attività ordinaria; assecondare le indicazioni che arrivano da Bankitalia, Bce e Fondo Monetario. Senza scordare che Ubi aveva iniziato un virtuoso processo di autoriforma già nel 2014. Ma se la trasformazione in Spa può assicurare maggiore stabilità, non viene meno il «dna» della banca, il legame con i territori, il ruolo per la loro competitività. «Non un’icona retorica, ma azioni misurabili» ha scandito Moltrasio. Un’azione di cluster declinata nel sostegno alle comunità locali (impieghi, sviluppo infrastrutturale), nelle iniziative sociali (erogazioni liberali, social bond), nel supporto a istituzioni e associazioni di categoria. Non sono insomma il «vestito» la forma giuridica che cambiano il modus operandi di una banca, ha rimarcato il presidente della Gestione Franco Polotti. soci presenti (2.700 fisicamente, il resto su delega) hanno insistito su due punti: attenzione a eventuali aggregazioni e tempistica della trasformazione.
Lando Sileoni, segretario Fabi, sindacato dei bancari, ha criticato la «scelta del governo». Ma visto che ormai i giochi sono fatti e visto che le trasformazioni dovrebbero favorire le aggregazioni, Sileoni ha avvertito: «Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi». Donato Corsini, ex funzionario San Paolo, ha chiesto che non si vada in soccorso di Mps («sarebbe un grave errore strategico»). C’è stato chi ha criticato la scelta di applicare da subito la riforma: «Ben si sarebbe operato attendendo gli esiti dei ricorsi» ha spiegato Antonio Bonomi, presidente dell’associazione Ubi Banca Popolare. Invece si è deciso di fare per primi una trasformazione «radicale e irreversibili». Dalla Spa, infatti, non si torna indietro, qualunque cosa accada nei tribunali. Federico Caffi ha però spiegato che attendere voleva dire «paralizzare» la banca «per anni»: se anche il 10 febbraio il Tar del Lazio darà ragione ai ricorrenti, bisognerà poi aspettare la Corte Costituzionale. «Nessuna accelerazione», dunque, ma una «corretta applicazione» per non restare nel limbo. Graziano Caldiani (Amici di Ubi) ha aggiunto che il «no» avrebbe avuto ripercussioni pesantissime, ad iniziare dal valore del titolo; quanto ai tempi serrati, questo consente di avere un quadro certo in vista del rinnovo cariche del 2016. Rinnovo che vedrà non più un’assemblea di soci, ma un’assemblea di azionisti. Bisognerà contare le azioni, ma anche i piccoli azionisti potranno pesare, organizzandosi. In fondo, ha ricordato Mario Bianchi (Insieme per Ubi), questo «per noi è un passaggio naturale». «Una nuova alba». Alla fine i 5mila presenti (in rappresentanza del 20,91 del capitale) hanno dato il loro via libera che, dopo otto anni, pone fine alla storia di Ubi come banca cooperativa e apre la versione Spa. Tra i 25 contrari anche due componenti delle minoranze nel consiglio di Sorveglianza (Agliardi e Cividini), mentre altri tre (Resti, Zucchi e Gallarati) si sono astenuti. Davide Bacca davide.bacca © RIPRODUZIONE RISERVATA
GIORNALE DI BRESCIA, domenica 11 ottobre 2015
 
Gli interventi degli azionisti, pochi i contrari. Il garbo della signora Alma inossidabile 85enne
 
Gianni Bonfadini – g.bonfadini@giornaledibrescia.it
BRESCIA. Venti interventi poco più, scanditi dal “presidente-orologio” come l’ha qualificato un socio contrariato dai tre minuti- assegnati per ogni opinione dal palco. Venti che dicono la loro non sono poi tanti per un’assemblea a suo modo storica. Il risultato finale (ma ovviamente lo si è saputo solo alla fine) dice del sentimento di chi stava in platea nell’ex fiera. Molte le prese di posizione di rappresentanti sindacali. L’incubo per chi rappresenta i lavoratori bancari di questi tempi è una parola semplice che presuppone procedure complicate e, in qualche caso, dolorose: aggregazioni.
Lavoratori nel Cda. «Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi e di perdita dei posti di lavoro e non accetteremo alcuna deroga al contratto nazionale di categoria». Una voce per tutti: quella di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari che ha anticipato il no a prepensionamenti obbligati, la richiesta di creare una bad bank per le sofferenze bancarie e una rappresentanza dei lavoratori nel Cda sul modello tedesco ed olandese. «No a Mps». Aggregazioni forse, ma «no a soccorsi» costosi come sarebbe per Mps, dice Donato Corsini. Fra i tanti rischi paventati: se Ubi diventa spa abbandona i territori. Obiezione che Giuseppe Roma respinge dal microfono con valutazione semplice: Ubi vive qui, se non vivono i territori anche la banca muore. Per Ezio Falco (rappresentante della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, azionista di gran peso di Ubi) la trasformazione in spa «è l’auspicabile ritorno al passato», ai tempi della Banca Lombarda- «Abbiamo sempre vissuto con sofferenza l’essere diventati coop». Scenari pesanti quelli ipotizzati da Graziano Caldiani (ex d.g della Popolare di Bergamo) nel caso di mancata trasformazione in spa: blocco dell’attività bancaria sino al pronunciamento della Corte Costituzionale (anni) e titolo a picco. Forti perplessità sulla scelta da Antonio Bonomi e Paolo Citterio («È dura entrare in fiera da popolari e uscirne da spa»). Carlo Maria Braghero si è chiesto perchè non estendere nel tempo il limite al possesso azionario (sarà del 5% per due anni). Favorevoli i soci Giuseppe Tocchetti (da quando è uscito il decreto il titolo ha guadagnato il 12%) e Pierluigi Carollo da Rovereto. E infine il «cordiale saluto» dell’inossidabile signora Alma: 85 anni dichiarati davanti alla platea, «ma sempre combattiva». «Capisco poco di queste cose, ma stimo chi guida questa banca». È il sigillo alla nuova spa.
BRESCIA OGGI (EDIZIONE NAZIONALE E SU ALTRE 3 PAGINE), domenica 11 ottobre 2015
 
«Il personale non va tagliato, ma valorizzato» – Non siamo disponibili a sottoscrivere accordi per altre uscite. Serve grande responsabilità»
 
È la paura per le possibili ricadute occupazionali a animare gli interventi dei rappresentanti sindacali durante l’assemblea di Ubi Banca, che fanno emergere anche la contrarietà alla riforma delle popolari. Se il passaggio a spa deve essere esserci, che almeno non si trasformi in un «bagno di sangue per effetto delle fusioni» che potrebbero concretizzarsi successivamente, dice il segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni. «Non lo tollereremo», aggiunge sottolineando che tra le priorità ci saranno il mantenimento degli organici nel settore e la creazione di comitati locali che portino una rappresentanza dei lavoratori nei Consigli di amministrazione. «All’annuncio della riforma la valutazione del mondo bancario fu che la trasformazione avrebbe dato vita a nuova stagione di fusioni e aggregazioni, con circa 20 mila esuberi stimati in conseguenza», gli fa eco il segretario nazionale Fabi, Attilio Granelli, soffermandosi sul «grado di preoccupazione» in un comparto che, tra il 2000 a 2020, vedrà l’uscita volontaria di circa 68 mila addetti. «Oggi non ci sono lavoratori con caratteristiche anagrafiche che possono portare ai numeri degli esuberi prospettati – aggiunge -. Non siamo disponibili a sottoscrivere accordi che stabiliscano altre uscite e mi auguro che, al di là del modello adottato, nella gestione delle risorse umane il capo del personale mantenga la sensibilità sociale sempre dimostrata». Sulla medesima lunghezza d’onda Andrea Battistini, coordinatore della First del gruppo Ubi. «Chiediamo un grande senso di responsabilità e una politica che valorizzi le persone coinvolgendo tutti i livelli gerarchici», esordisce ribadendo che, «per tutti, si apre uno scenario di cambiamento, con responsabilità da affrontare insieme». Se la «squadra è vincente non si cambia», evidenzia Claudia Dabbene, coordinatrice di Uilca Ubi Banca, convinta che sono stati proprio i valori e le persone «a rendere grande Ubi», quindi «non sa saggio abbandonarli per un cambio di abito». Sulla necessità di rimarcare i principi fondanti del credito cooperativo indugia Emilio Contrasto, segretario generale di Unità Sindacale: l’impegno a favore delle Pmi rispetto a grandi gruppi industriali, il sostegno alle famiglie e ai piccoli risparmiatori, la tutela dei dipendenti e delle condizioni di lavoro, il potenziamento delle iniziative di welfare e la tutela dei piccoli azionisti «devono essere il faro intorno al quale orientare ogni scelta». Senza dimenticare, aggiunge, il «coinvolgimento dei dipendenti nella gestione del gruppo». E se Fabrizio Sangalli, vicecoordinatore della Fabi in Ubi si concentra su un breve excursus storico, per il coordinatore nazionale Paolo Citterio della stessa sigla bisogna fare attenzione che un «discutibile provvedimento» non modifichi un equilibrio «capace di dare risultati positivi. Entrare in Assemblea da popolare e uscire da spa è difficile da digerire – spiega – ma l’invito è che nel gruppo si mantenga alto il dialogo». DESS. © RIPRODUZIONE RISERVATA
LA STAMPA (NAZIONALE E SU ALTRE 16 EDIZIONI) domenica 11 ottobre 2015
 
Ubi, la Popolare diventa Spa – Dai soci una valanga di sì – L’ad Massiah sulle fusioni: parliamo con diversi istituti, anche col Banco
 
Mesi di polemiche, appelli, ricorsi fatti e minacciati tra Tar e Corte Costituzionale. Ma alla prima storica assemblea che ieri a Brescia ha trasformato l’ormai ex Popolare Ubi Banca in una normale Società per azioni, la riforma passa con un consenso «bulgaro». Alla conta, i contrari si rivelano quattro amici al bar: solo 26 dei 5.032 soci presenti (2.500 fisicamente, gli altri per delega o collegati da Bergamo, Milano, Cuneo e Jesi) alzano la mano per dire di no. In 31 si astengono. Gli altri 4.975 soci (il 98,87 danno un plebiscitario via libera alla prima trasformazione dettata dalla riforma Renzi. A Roma esultano. Dal ministero dell’Economia esprimono «grande soddisfazione» per la prima prova sul campo superata «con un elevatissimo consenso». E si augurano «che questa trasformazione inneschi un processo di rafforzamento del settore». Secondo il presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, il risultato deriva dalla «maturità» di chi era in platea. Dimostra «la preparazione e la comprensione sul tema della trasformazione» da parte dei soci, «frutto di un lavoro di ascolto e condivisione» fatto dalla banca. Anche perché, giunge il presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti, «le maggioranze silenziose sono spesso più consapevoli delle minoranze chiassose». 5 Fuori dal coro dei «sì» ci sono anche 5 consiglieri di sorveglianza eletti dalla lista «Ubi, Banca Popolare!»: tra i 25 contrari ci sono infatti Luca Cividini e Dorino Agliardi; tra i 31 astenuti figurano Maurizio Zucchi, Marco Gallarati e Andrea Resti. Ma il seguito in platea è assai scarso. Da giorni si respirava «un’aria di rinuncia», racconta un sostenitore del no. «I più preoccupati della trasformazione erano i dipendenti, ma con il voto palese si sono trovati fuori gioco. Provi lei a fare una sfilata davanti ai colleghi con la carta di identità in mano per registrare il voto contrario…». La prossima assemblea che, in primavera, eleggerà i nuovi vertici sarà molto diversa. Conteranno le azioni (fino al 2017 ci sarà un limite ai diritti di voto al 5%), non le teste. al di là dei soci che «si organizzeranno tra loro», come dice Moltrasio, potranno farsi valere anche i 70 mila azionisti non soci (che non votavano) e i fondi che hanno il 45% del capitale. In assemblea c’è malinconia (anche l’ex presidente Emilio Zanetti, margine, dichiara la sua «emozione») ma pochissima tensione: «Massiah, mi fido di lei, non ci traagsca!», dice una socia 85enne all’ad che si attende un limitato esercizio del diritto di recesso. Intervengono molti sindacalisti, tra loro il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il quale avverte: «Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi». Cautela. Già le fusioni. L’ad Victor Massiah è cauto: «Non è ovvio che un’operazione di aggregazione equivalga alla creazione di valore», dice. La nomina degli advisor, afferma, «la faremo quando avremo una maggior comprensione di quanto accade sul mercato, che è complesso. Basta vedere che, in tema di fusioni, è gridato “al lupo!” per un anno e non è successo niente». L’ad spiega che comunque Ubi «parla con diverse banche, tra cui il Banco Popolare», anche se «è prematuro qualsiasi tipo di commento». il Monte dei Paschi? «Escludo che il governo possa» imporre a Ubi di intervenire su Siena. «Non possono mettersi loro a organizzare le aggregazioni e non lo fanno. Possono auspicare, sollecitare, ma scegliamo noi». E se Mps bussa alla porta «non ho motivo di non rispondere».
IL RESTO DEL CARLINO (SU 15 EDIZIONI/LA NAZIONE 14 EDIZIONI/IL GIORNO 10 EDIZIONI/LA CITTA’ “Teramo”) – domenica 11 ottobre 2015
 
Ubi, prima popolare diventata spa «Non saremo noi a salvare Mps» – Plebiscito di sì. L’ad Massiah: il governo non può imporci fusioni
 
MILANO. TRASFORMAZIONE avvenuta. E salutata da un plebiscito. Come ampiamente previsto e annunciato, da ieri Ubi Banca è la prima popolare a diventare società per azioni. La banca lombarda, con circa 120 miliardi di euro di totale attivo, è seconda per dimensione solo al Banco Popolare. Ora inizia una seconda vita per l’istituto nato nel 2007 dalla fusione per incorporazione della bresciana Banca Lombarda e Piemontese nella bergamasca Bpu. E la nuova vita da spa è partita dall’assemblea dei soci a Brescia. Con numeri da record: tre ore di assemblea, più di cinquemila soci presenti (per la precisione 5.032 in rappresentanza del 20,56 del capitale, di cui 2.767 in proprio) e una valanga di sì. Il 98,9 ha votato a favore della trasformazione: 4.976 sì, 25 no e 31 astenuti. Numeri importanti che infatti i vertici della banca salutano con grande favore: «Questo vuol dire che abbiamo dei soci ultra responsabili», esulta l’ad Victor Massiah. E il presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio è «molto soddisfatto. Tutto si è svolto in un clima sereno, tranquillo. Il risultato è il frutto di un lavoro di ascolto e di condivisione con il corpo sociale di grande rispetto». «Un passaggio storico: cambia il vestito, ma non i valori», commenta infine il presidente del consiglio di gestione Franco Polotti. MASSIAH si è detto poi ottimista sull’immediato futuro, nel quale si aspetta un esercizio piuttosto limitato del diritto di recesso: lo farà solo una parte minoritaria della banca, coloro che «per convinzione ideologica» sono contrari alla trasformazione in spa. E aggiunge: «È una scommessa rischiosa». Lo stesso ad ha sottolineato «un rapporto estremamente corretto e costruttivo con i sindacati». Ma il principale sindacato di categoria, la Fabi, ha ribadito il suo no a «fusioni che comportino un bagno di sangue pe ri lavoratori» e la contrarietà alla riforma delle popolari, che «distrugge un modello di democrazia economica». Al contrario, prevedibilmente, dal ministero dell’Economia arriva invece il plauso alla scelta dei soci di Ubi Banca: «Grande soddisfazione per la prima conversione in spa, avvenuta con elevatissimo consenso. È il primo concreto risultato della riforma delle popolari promossa dal governo. Ora si inneschi un meccanismo di rafforzamento del settore», scrive il Mef. MA PROPRIO al governo, anche in una giornata così positiva, arriva un messaggio chiaro da parte dei vertici della banca. «Escludo a monte che il governo possa imporre a Ubi di intervenire per mettere in sicurezza Mps – ha dichiarato Massiah -. Non possono mettersi loro a organizzare i merger e non lo fanno, possono auspicare, sollecitare, ma scegliamo noi». Se Siena bussa alla porta, spiega l’ad di Ubi Banca, «non ho motivo di non rispondere». Ma non c’è solo il Monte: infatti «non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche tra cui anche il Banco Popolare».
LA REPUBBLICA (EDIZIONE NAZIONALE) domenica 11 ottobre 2015
 
Ubi si trasforma in Spa. È la prima Popolare che segue la riforma. Sì dal 99% – Massiah: “È un passaggio storico”.
 
VITTORIA PULEDDA
BRESCIA. «un passaggio storico» lo ha definito Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca. E per una volta la retorica coincide con la realtà, perché ieri l’as della popolare più forte d’Italia ha votato – ed è la prima dopo la legge sulla riforma sul settore – con maggioranza ultra bulgara (il 98,88 dei voti presenti) la trasformazione in società per azioni. Un passaggio sofferto («Sono emozionato», ha detto Emilio Zanetti, storico presidente della popolare di Bergamo, una delle componenti di Ubi) filato più liscio del previsto, con una presenza significativa ma non record (5.000 deleghe comprese) una rappresentanza in sala quantificata – per la prima volta – in circa il 21% del capitale. Contenuti gli interventi critici, tra cui quello di Piero Lonardi, socio Ubi ma più noto come consigliere di Bpm e cofirmatario del ricorso al Tar – rigettato mercoledì sul piano dell’urgenza – dell’associazione Ubi banca popolare (i consiglieri di minoranza si sono astenuti o hanno votato contro) e quelli dei sindacalisti, preoccupati dalle ricadute occupazionali della – più che probabile – fase di concentrazioni che partirà adesso. Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha consigliato «prudenza» in tema di fusioni e ha messo in guardia su operazioni che comportino «bagni di sangue» sul piano dei posti di lavoro. Ma ormai il dado è tratto. I vertici della banca hanno parlato di «soci ultra- «ma- lo stesso presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio, ha ricordato che è nello spirito della legge il rafforzamento del settore del credito; ora, sgombrato il campo dalla trasformazione societaria, le energie del gruppo potranno focalizzarsi su questo, con «serenità e tranquillità» ha detto. Concetto ripreso da Victor Massiah, che non ha indicato una possibile tempistica («Sono operazioni complesse» – ha detto – è prematuro qualsiasi tipo di commento») ma ha confermato che «non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche, tra cui il Banco Popolare». Senza preclusioni: «Se Mps bussa alla porta ha risposto ai cronisti – non ho motivo di dire che non rispondo a Mps» (ed è probabile che qualche colloquio con l’ad del Monte, Fabrizio Viola, ci sia stato). Il numero uno di Ubi ha però escluso interventi dirigistici, del Tesoro o di Bankitalia, per soccorrere Mps. Ieri fonti del Mef hanno espresso «grande soddisfazione per la prima conversione in spa di una delle più importanti popolari, avvenuta con un elevatissimo consenso». Massiah non s’è detto preoccupato invece da un eccessivo ricorso dei soci al diritto di recesso. I prossimi mesi serviranno anche a coagulare l’azionariato Ubi già conta su un nucleo attorno al 12% (costituito da Fondazione Cassa di Cuneo, che ieri ha espresso il plauso alla spa, da Fondazione del Monte di Lombardia e dalle grandi famiglie di Bergamo e Brescia socie). Saranno loro in aprile a rinnovare i vertici e a dire l’ultima parola sulla fusione. Poco prima (a fine marzo) si concluderà il nuovo prolungamento indagini – che coinvolgono i vertici di Ubi – chiesto dalla procura di Bergamo sulle ipotesi di patto occulto, deleghe in bianco per l’assemblea 2013 e alcune operazioni di leasing.
LIBERO MERCATO (EDIZIONE NAZIONALE) domenica 11 ottobre 2015
 
Primo addio alle Popolari – Ubi saluta i soci e diventa spa L’assemblea con il 98 % dei sì decide la trasformazione in società per azioni Nel 2016 toccherà a Bpm, per e Banco. Il nuovo assetto favorisce le fusioni
 
UGO BERTONE
La svolta storica si rea un quarto d’ora prima delle 13 quando i 2.573 soci (da oggi azionisti) radunati a Brescia più gli altri 2.437 collegati dal centro Congressi Bergamo e dalle se Milano, Cuneo e Jesi hanno approvato con una bulgara la trasformazione dell’istituto popolare in spa. Un plebiscito che ha raccolto il voto favorevole di 4.975 presenti, pari al 98,87 %. A votare contro sono stati solo in 26, gli astenuti 31. E così, a partire dalla prossima rinnovo organi sociali, decidere sarà il numero delle azioni, non più il voto capitario. Sarà questa una, ma non la sola, novità innescata dalla scintilla innescata ieri a Brescia, primo passo di trasformazione rivoluzionaria: di qui a 18 mesi, la data limite, le dieci Popolari con attivi superiori miliardi dovranno trasformarsi in spa o, cosa quasi impossibile, ridurre i propri attivi sotto gli 8 miliardi. Ubi ha deciso di muoversi per prima, sfidando il rischio di rinviare l’assise per il ricorso al Tar di alcuni soci. Ma i giudici amministrativi hanno l’ipotesi un con grave disappunto di Piero Lonardi, storico consigliere di Bpm e tra i firmatari del ricorso. «Perché tanta fretta? – si è chiesto ieri in assemblea – Forse nell’interesse la cade nel vuoto. «Assecondare questa trasformazione – spiega il presidente Andrea Moltrasio – ha senso proprio la istituto». Intanto la Fondazione di Cuneo smentisce qualsiasi dissapore per la svolta annunciando il voto a favore. Ma cosa cambierà dopo la svolta? 1) Il nuovo assetto è destinato a favorire una stagione di aggregazioni. Ubi, tra gli istituti più solidi, si propone come polo aggregatore con un di riguardo al Popolare. Ma non solo esclusi altri M specie con le altre ex cooperative. Importanti, al proposito, tempi della trasformazione in spa delle altre banche: Bpm intende tenere l’assemblea del prossimo giugno. Altre banche, come B e Banco Polare, guardano all’autunno 2016. Più o meno entro quella data toccherà agli altri: Popolare di Bari, Creval, Pop Sondrio, Veneto Banca e la travagliata Pop Vicenza. 2) Nel frattempo Ubi farà da battistrada alle novità. In un primo momento, fino al 26 2017, ci sarà un tetto del 5 % al diritto di voto. A decidere i vertici non saranno più gli 80 mila soci della cooperativa, ma gli azionisti che sono molti di più. Viene meno, al momento del voto, il alle deleghe lo scrutinio a voro segreto. Verrà mantenuto il meccanismo del voto di lista e dell’elezione di ma sulla base delle percentuali di capitale e non del numero di voti. Ci sarà comunque un colpo di forbice ai vertici: contro le attuali 34 posizioni apicali, ci saranno 15 membri del consiglio di sorveglianza più 7 membri del cda. 3) La Borsa ha scommesso in questi mesi sui risparmi potenziali della svolta. I sindacati, al contrario, non nascondono per tagli. Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha messo in guardia da bagni di sangue e prepensionamenti obbligatori, chiedendo di avere «prudenza nelle fusioni», e annunciando la richiesta «della presenza dei rappresentanti dei lavoratori, non del sindacato, nei consigli». 4) Per chi non ci sta, infine, è previsto il diritto di recesso: 7,288 euro.
IL MESSAGGERO (TUTTE LE 14 EDIZIONI) domenica 11 ottobre 2015
 
Ubi diventa spa e apre a Mps – `Una maggioranza bulgara in assemblea approva la trasformazione e il Tesoro esprime il suo plauso – La Fondazione Cassa di Cuneo punta a costituire un patto di sindacato con altri soci per la stabilità
 
BRESCIA. Ubi banca fa da apripista delle dieci popolari con attivo oltre gli 8 miliardi, trasformandosi in spa. E riceve la benedizione del Tesoro. Avendo bruciato le tappe, qualche grande socio, come la Fondazione Cassa di Cuneo, punta ad avere voce in capitolo sulle scelte attraverso un patto di sindacato in vista del risiko dove spunta, sorpresa, un ritorno di fiamma per Mps. Ieri l’assemblea dei soci del gruppo nato nel 2007 dalla fusione tra Bpu e Banca Lombarda, ha approvato con una maggioranza bulgara la svolta storica: su 5.032 presenti (la metà in platea), 4.975 (98,9 hanno votato a favore. Contrari 26, astenuti 31. «Grande soddisfazione per la prima conversione in spa di una delle più importanti banche popolari, avvenuta con un elevatissimo consenso», viene espressa da via XX Settembre, «ci si augura che questa trasformazione inneschi un processo di rafforzamento del settore che porti le banche ad avere un ruolo più incisivo per lo sviluppo delle imprese». Il Tesoro quindi rilancia lo spirito della riforma nel segno delle fusioni che, invece, languono e il rinvio a febbraio della sentenza del Tar su suoi alcuni aspetti, non fa accelerare. «Non è un segreto che stiamo parlando con diverse banche tra cui anche il Banco Popolare ma non c’è nulla», è la riposta alla stampa del ceo di Ubi, Victor Massiah, post assemblea, proposito di quella che viene indicata come l’unica fusione sul tavolo. Massiah che ha riscosso un successo di consenso dalla platea – Alma Vitale, socia storica di 85 anni, parlando seduta, gli ha rivolto un appassionato appello di non tradire Ubi -, secondo lo stile della casa, minimizza. Incontri ci sono stati con Bpm e con il Banco: con quest’ultimo sarebbe stato ipotizzato un concambio (58- e l’affidamento a lui del timone della Super Popolare, ma senza entrare nella governance (poltrone, sede, nome). «Da lunedì, con la spa, ci metteremo al lavoro», ha spiegato Andrea Moltrasio, presidente del cds. Per Massiah, le fusioni sono «operazioni complesse, è prematuro qualsiasi commento». Il banchiere poi esclude pressioni di governo e Bankitalia su Mps. «Non possono mettersi loro a organizzare i merger». State parlando anche con Siena? «Se Mps bussa non ho motivo di non rispondere». TEMPI DELL’ADVISOR Sulla scelta di un advisor, come fatto da altre banche, il banchiere ironizza: «fino ad oggi ci sono stati tanti advisor e nessuna operazione». Comunque Massiah dovrebbe rivolgersi al Credit Suisse. Un mandato verrà dato «quando avremo una maggiore comprensione di cosa succede sul mercato». Un no a «fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi» è stato scandito da Lando Sileoni, leader Fabi. Ma in vista che le grandi manovre entrino nel vivo, grandi soci, potendo finalmente contare le azioni rispetto al passato di una testa un voto, si organizzano. La Fondazione Cuneo (2,23 per bocca del presidente Ezio Falco, si candida ad avere «un ruolo proattivo» fronte di un investimento di 425 milioni comprendente anche il 25% della Bre. Falco punta a scambiare questo 25% con azioni Ubi che farebbero salire l’ente al 7% del capitale per costruire un nocciolo stabile di soci nel quale aggregare la Fondazione Monte di Lombardia (1,6 e alcune famiglie bresciane e bergamasche. Obiettivo: un patto sul 12- per incidere sulla scelta del partner. Ma prima ancora sul rinnovo degli organi in scadenza ad aprile: nuovo cda sarà di 15 unità e il cdg di 7. I due enti sono soci «di lungo periodo, utili per stabilizzare la banca», ha detto Franco Polotti, presidente del cdg e uno dei soci del gruppo bresciano che sembra far da sponda all’idea di un patto. Rosario Dimito © RIPRODUZIONE RISERVATA
IL GIORNALE domenica 11 ottobre 2015
 
Ubi la prima popolare che diventa spa – Gli equilibri futuri nelle manovre in corso tra gli storici poteri bresciani e gli azionisti piemontesi
 
Massimo Restelli
Ubi Banca, con il via libera arrivato ieri dall’assemblea dei soci alla trasformazione in spa, è come se avesse riavvolto in una sola giornata una pellicola lunga dal punto di vista industriale o della governance, perché l’ad Victor Massiah ha plasmato uno più del sistema nazionale e già nel 2014 aveva fatto spazio al mercato con il modello della popolare dei rapporti di forza tra le sue principali anime territoriali: quella Se fedelissime a Giovanni Bazoli, dalle mire degli spagnoli del Santander, la fusero con la mutua intrinseco al voto capitario testa un ora la loro forza. Non appena la nuova «Ubi spa» sarà realtà in Piazza Affari – il debutto è atteso entro metà dicembre – si tornerà E la associazione Banca lombarda di custodire il 10 % di Ubi, per un valore di Borsa di 600 milioni. Senza contare che in primavera il gruppo dovrà aprire le urne per rinnovare consiglio liste, per presentare le quali occorre «si dovrà tenere conto dei mutati pesi azionari», anticipa già un manager del gruppo al Giornale. Resta l’incognita di quanto si dimostrerà coeso il blocco bresciano, composto sia da famiglie come Gus come la Congregazione delle suore ancelle della carità, l’Editrice La Scuola o la Diocesi di Milano. Bergamo, sebbene si parli di dei Pesenti, ricchi di liquidità dopo la vendita ai tedeschi di Italcementi, ad oggi non esiste invece nulla di paragonabile. Fatta dalle famiglie vicine a Emilio Zanetti, per decenni il demiurgo di Ubi insieme con Bazo dai Radici e da Giorgio Jannone, l’ex parlamentare di Forza della spa e già regista di un tentativo di ribaltone. Una distanza di peso, quella tra Brescia e Bergamo, che diventerà ancora più evidente se andrà in titoli della capogruppo le minorities nelle mani delle Cuneo 2,3 %) e della Banca del monte di Lombardia (1,7 %): tutto dipende dall’attuale quattro all’ per cento. se i titoli della nuova Ubi spa si apprezzeranno in Borsa, lo scambio diventerà più agevole, visto che oggi la banca tratta a 0,7 sul valore di libro. A quel punto Brescia e le Fondazioni arriverebbero al 20 % del che per il 40 % è comunque già appannaggio dei da Sin (4,9 %) e Black Chi conosce la concretezza rimarca tuttavia che poco accadrà fino a quando procura non l’inchiesta sul presunto patto occulto stipulato tra Bazoli e Zanetti governare l’istituto Un dossier giudiziario che, al di là degli esiti, comporta comunque qualche incognita. Ubi è stata comunque la prima popolare italiana a recepire la riforma Renzi, su cui pende peraltro un ricorso al Tar, che verrà esaminato in primavera. la multif Unione di Banche Italiane sta metabolizzandola quadri direttivi di Brescia e Piemonte sono comodi nei nuovi abiti della la coop di Bergamo è invece ferita, soprattutto tra i soci pensionati. Due Amici di Ubi Banca di Graziano Caldiani (ex direttore generale dell’istituto Ubi Banca Popolare di Antonio Del Bonomi, che ora teme «vada perduto il legame con il territorio» bolla come «inopportuna» l’accelerazione sul cambio di statuto. Non per nulla, nella prima linea di Ubi si nota la force tranquille con cui Massiah governa in attesa del vero salto dimensionale: in assemblea ha preso per altri tagli al personale. Gli occhi sono puntati sul Banco Popolare, ma altri pensano a un a a Etruria o Cariferrara.
PLUS, sabato 10 ottobre 2015
 
I dipendenti-soci chiedono più garanzie – Dopo la lettera scritta dai segretari nazionali, il Cd Massiah ha ribadito il modello federale e ha escluso cessioni
 
L’assemblea di oggi alla Fiera di Brescia in cui Ubi sarà chiamata a pronunciarsi sul passaggio alla Spa vedrà, tra la folla, la presenza di due soci “particolari”. Sono Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, ed Emilio Contrasto, segretario generale di Unisin. Due dipendenti-soci con incarichi nazionali che rappresenteranno non solo le migliaia di dipendenti-soci di Ubi, ma porteranno anche la posizione dei rispettivi sindacati di categoria. I quali, insieme ai colleghi Giulio Romani di First Cisl, Agostino Megale di Fisac/Cgil, Pietro Pisani di Sinfub, Fabio Verelli di Ugl Credito, Massimo Masi della Uilca, nelle scorse settimane hanno preso posizione sull’evoluzione del settore creditizio nazionale con una lettera al presidente della Bce, Mario Draghi, e al Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e poi con un’altra missiva si sono rivolti direttamente ai presidenti e agli amministratori delegati delle grandi Popolari che si trasformeranno in Spa. Il tema non è stato solo quello della preoccupazione per le ricadute di possibili aggregazioni: i sette sindacati hanno chiesto «di prevedere nella futura struttura societaria, in coerenza con l’impianto di governance che sarà posto in essere, forme di partecipazione dei lavoratori attraverso propri rappresentanti».
Un tema rimbalzato mercoledì 30 settembre nell’incontro tra il consigliere delegato di Ubi, Victor Massiah, e le delegazioni di gruppo di Fabi, First-Cisl, Sinfub, Ugl, Uilca e Unisin in vista dell’assemblea dei soci odierna. I sindacati hanno chiesto garanzie perché la trasformazione «sia un “cambio di pelle, ma non di anima”», oltre a garanzie sulla continuità e il rispetto dei valori del gruppo, sui livelli occupazionali, sulla presenza nei territori e sul livello delle relazioni industriali. Altre richieste hanno riguardato l’adozione di «modelli di partecipazione dei lavoratori, a partire dall’azionariato diffuso» e la richiesta di impegnarsi a mantenere permanente, dopo i 24 mesi previsti dalla legge, il limite del diritto di voto al 5 per cento.
 Secondo una nota unitaria dei sindacale, Massiah si è impegnato a garantire l’attenzione al personale, all’occupazione e alle relazioni sindacali. Ma il consigliere delegato si è spinto più in là esprimendosi favorevolmente «in merito a forme creative e innovative di partecipazione dei lavoratori», ha poi ricordato che «storicamente meno della metà delle fusioni ha prodotto incrementi di valore e che Ubi non ha né urgenza, né necessità, di partecipare al risiko bancario nel quale, comunque, difficilmente resterà “spettatrice”». Secondo i sindacati, il manager ha poi spiegato che «non è in programma, nell’immediato, l’integrazione del modello federale in una “banca unica” e che le “voci” di cessione della Bpb nel caso di fusione col Banco Popolare non hanno alcun fondamento».
Sul tema della governance in Ubi il confronto tra dipendenti soci e management non è una novità. Ad aprile 2014, in vista dell’assemblea, i sindacati avevano condiviso, tra le altre, le riduzioni dei membri del Consiglio di sorveglianza e di quello di gestione, l’introduzione di un limite di età (75 anni per il CdS, 70 per il CdG) e l’apertura alla partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Ma i sindacati avevano bocciato la riforma perché ritenevano che l’aumento del numero minimo di azioni detenute a 250 per partecipare alle assemblee penalizzasse i soci dipendenti.
 Intanto Ubi prosegue l’implementazione del piano industriale varato l’anno scorso che prevedeva 1.277 bancari in uscita entro il primo semestre 2015, la chiusura di 55 filiali e 59 minisportelli, trasformazione di 54 filiali in minisportelli, sul quale sindacati e banca il 26 novembre 2014 hanno firmato un accordo.
 Dopo le uscite, nei giorni scorsi sono stati resi noti i dati sulle assunzioni: sono stati stabilizzati 132 lavoratori precari, con la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, e sono state realizzate altre 150 assunzioni, di cui 91 a tempo determinato e 59 a tempo indeterminato. Le 486 richieste di part time sono state accolte nel 94% dei casi.  nicola.borzi@ilsole24ore.com-© RIPRODUZIONE RISERVATA Nicola Borzi
MF-MILANO FINANZA.it, sabato 10 ottobre 2015
 
Ubi Banca, l’assemblea approva la spa al 98,88%
 
di Luca Gualtieri
L’assemblea di Ubi Banca ha approvato a larghissima maggioranza la trasformazione in spa. Dopo un’assise durata poco più di tre ore, i soci della popolare lombarda hanno dato luce verde al nuovo modello di governance imposto dalla legge. Hanno votato a favore del nuovo statuto 4.976 soci, pari 98,88% dei presenti. I contrari erano 25, 31 astenuti.
Solo pochi minuti si sono conclusi gli interventi dei soci. Sul palco si sono susseguiti il presidente della Fondazione Cr Cuneo, Ezio Falco, il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, lo storico rappresentante dei soci non dipendenti della Bpm , Piero Lonardi, il presidente dell’associazione Ubi Banca Popolare, Antonio Deleuse Bonomi, il numero degli Amici di Ubi Banca , Graziano Caldiani, il presidente di Insieme per Ubi Banca , Mario Bianchi e altri. Le repliche sono arrivate dai presidenti Andrea Moltrasio e Franco Polotti e dal consigliere delegato Victor Massiah. “Confermo, finché questo management ci sarà, noi avremo un’ottica di lungo periodo, pensando che il lungo periodo porta ricchezza a tutti”.
Moltrasio aveva aperto i lavori alle 10 di questa mattina con 4.551 soci presenti (di cui 1.262 per delega, anche se i biglietti staccati sarebbero circa 9 mila), illustrando le ragioni della trasformazione della forma di governance e la tempistica scelta.
“Assecondiamo un cambiamento richiesto dal governo, dalla Vigilanza e dall’Europa”, ha spiegato il presidente, giustificando la tempistica scelta con l’imminente rinnovo degli organi societari previsto per la primavera 2016. Moltrasio ha poi spiegato l’articolazione del nuovo statuto, con il superamento del voto capitario, l’introduzione del tetto al diritto di voto, la riduzione del numero dei consiglieri, i nuovi meccanismi di funzionamento dell’assemblea.
Ecco in breve i tratti principali del nuovo statuto:
Tetto antiscalata. È questa la principale concessione fatta dal governo al sistema delle popolari durante l’iter di conversione del decreto Renzi-Padoan. In conformità con quella decisione, l’articolo 10 del nuovo statuto di Ubi stabilisce che, fino al 26 marzo 2017, nessun soggetto avente diritto al voto possa «esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5% del capitale sociale». Per evitare che il tetto venga aggirato, il limite (che pure non si applica agli organismi di investimento collettivo del risparmio italiani ed esteri) varrà per i titoli posseduti direttamente e indirettamente attraverso società controllate e fiduciarie o interposta persona. In caso di violazioni, «la delibera assembleare eventualmente assunta è impugnabile, se la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale violazione», spiega lo statuto. Sarà interessante capire quali saranno le mosse del management alla scadenza del tetto antiscalata. Nulla, per esempio, vieterebbe all’assemblea di modificare nuovamente lo statuto per introdurre un limite permanente analogo a quello in vigore in Unicredit .
Stop al voto capitario. Il nuovo statuto fa piazza pulita del meccanismo su cui si fonda la governance delle banche popolari. Nell’attuale statuto di Ubi, il principio «una testa un voto» veniva enunciato all’articolo 26: «Il socio ha un solo voto qualunque sia il numero delle azioni possedute». Il nuovo documento invece stabilisce all’articolo 17 che «ogni azione ordinaria attribuisce il diritto a un voto» e prevede l’abrogazione di tutte le previsioni relative all’ammissione a socio in quanto «non compatibili con la forma della società per azioni, dove la figura del socio viene a coincidere con quella dell’azionista». Viene meno anche il limite al numero di deleghe conferibili allo stesso soggetto, salite fino a dieci negli ultimi anni.
Assemblea. Per presentare una lista di candidati servirà almeno l’1% del capitale, mentre finora potevano bastare le firme di 500 soci rappresentanti almeno lo 0,5%. Si tratta di una soglia più alta rispetto a quella prevista ad esempio per Intesa Sanpaolo o Unicredit dove l’asticella è fissata allo 0,5%. Non solo. Per il consiglio di sorveglianza uscente viene meno la possibilità di presentare una propria lista indipendentemente dalla quota di capitale rappresentata. Per Ubi si tratta di una svolta significativa, visto che finora i vertici uscenti hanno sempre espresso i propri successori. Viene invece mantenuto l’attuale criterio in base al quale i consiglieri sono tratti dalle liste adattandolo alle quote di capitale sociale. I membri del cds, infatti, saranno tratti dalle due liste più votate e alla formazione di minoranza sarà assegnato un numero di consiglieri in base alla percentuale di consenso ottenuto in assemblea.
Board più snelli. In conformità con le indicazioni arrivate dalla Vigilanza, il nuovo statuto di Ubi prevede anche un dimagrimento dei consigli. Per la sorveglianza il numero dei membri scende da 17 a 15, mentre per la gestione il tetto viene fissato a sette rispetto alla forchetta di sette-nove stabilita nell’attuale documento. Dimagrirà anche il comitato nomine, snodo fondamentale della governance di Ubi, dove il numero dei membri scenderà da sei a cinque. Viene inoltre stabilita la clausola simul stabunt simul cadent in base alla quale, qualora venga meno più della metà dei consiglieri originariamente eletti, cessa l’intero board.
Continuità dei vertici. Dal punto di vista formale, infatti, nulla obbliga gli amministratori a fare un passo indietro dopo la trasformazione in spa, ma inevitabilmente il passaggio alla spa depotenzierà la squadra di vertice. Per questa ragione la banca ha scritto due norme transitorie che serviranno per mantenere la composizione dei consigli fino al prossimo rinnovo degli organi sociali. (riproduzione riservata)
IL SOLE 24 ORE.com 10 ottobre 2015
 
Ubi Banca diventa Spa: l’assemblea ha approvato la trasformazione
 
di Luca Davi, 10 ottobre 2015
L’assemblea straordinaria di Ubi ha approvato quasi all’unanimità la trasformazione della banca popolare in società per azioni. Nei quartieri fieristici di Brescia e nelle quattro sedi videocollegate (Milano, Bergamo, Jesi e Cuneo) hanno votato a favore della trasformazione 4976 soci su 5032 presenti (deleghe comprese), pari al 98,88% del capitale.
«Grande soddisfazione» è stata espressa da fonti del ministero dell’Economia subito dopo l’annuncio della trasformazione. Si tratta della «prima conversione in Spa» di «una delle più importanti banche popolari, conversione che è avvenuta con uno elevatissimo consenso». Secondo le stesse fonti, si tratta «del primo concreto risultato della riforma delle Popolari promossa dal governo appena qualche mese fa. Ci si augura che questa trasformazione inneschi un processo di rafforzamento del settore che porti le banche ad avere un ruolo piu’ incisivo per lo sviluppo delle sistema delle imprese».
L’esito dell’assemblea era del resto abbastanza scontato:?tra le diverse anime della banca, e le rispettive associazioni in rappresentanza, si è raggiunta recentemente una condivisione di intenti sulla ineluttabilità della trasformazione in Spa richiesta dalla normativa.
La trasformazione di Ubi banca in spa «ha sicuramente un senso proprio per la stabilità del nostro istituto», ha detto Andrea Moltrasio, presidente del consiglio di sorveglianza dell’istituto, illustrando ai soci il nuovo statuto, che doveva essere approvato dall’assemblea con il `quorum´ dei due terzi. «Non solo il governo e la Banca d’Italia – ha spiegato – ma anche la Bce, il Fondo monetario internazionale, Basilea: tutti gli enti, anche la stessa Consob in Parlamento, si sono pronunciati a favore di questo cambiamento. Assecondiamo una decisione che sicuramente ha un senso proprio per la stabilità del nostro istituto».
I due effetti dell’operazione
Tra gli interventi da registrare quello di Ezio Falco, presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, titolare del 2,23% di Ubi banca. La Fondazione, ha detto Falco, ha investito in Ubi 425 milioni di euro, cifra che ne fa «il maggiore investitore nella banca», dopo i fondi di investimento Silchester e BlackRock. «Plaudiamo ai vertici di Ubi – ha detto Falco – per avere accolto con sollecitudine l’invito del governo, in un Paese che tende sempre a posporre e a fare domani quello che andrebbe fatto oggi. Ci aspettiamo di essere coinvolti nella futura strategia per l’investimento fatto nel gruppo».
Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, il maggior sindacato dei bancari, ha posto l’accento sulle possibili aggregazioni che potrebbero seguire alla trasformazione in Spa. «Non tollereremo fusioni – ha detto Sileoni, che è intervenuto in qualità di dipendente-socio della banca – che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi e di perdita dei posti di lavoro».
Per Piero Lonardi, socio Ubi e firmatario di uno dei tre ricorsi al Tar del Lazio contro le disposizioni di Banca d’Italia relativa alla riforma sulle popolari, ha criticato la «fretta» con cui la trasformazione in Spa «viene fatta, forse nell’interesse di alcuni?».
Ubi Banca è così la prima banca popolare a passare alla nuova denominazione societaria. Tutto nasce dal decreto Renzi-Padoan che prevede che, entro la fine 2016, le 10 principali banche popolari passino alla nuova forma societaria, pena il rischio il ritiro della licenza bancaria.
LA REPUBBLICA.it, sabato 10 ottobre 2015
 
Ubi diventa Spa: è la prima popolare ad approvare il cambio di statuto – Assemblea storica a Brescia: il 98,88% dei presenti vota per la trasformazione dopo la riforma varata dal governo. Emozione tra i soci. Il presidente Moltrasio: “Garantiamo stabilità al nostro istituto”. Sileoni (Fabi): “Prudenza nelle fusioni, no a bagni di sangue”
 
dal nostro inviato VITTORIA PULEDDA
Ubi diventa Spa: è la prima popolare ad approvare il cambio di statutoAndrea Moltrasio, presidente Ubi Banca BRESCIA – Ubi Banca è la prima popolare a diventare Spa dopo la riforma varata dal governo per gli istituti con asset superiori agli otto miliardi. Con un voto plebiscitario (ha votato per il sì il 98,88% dei presenti), i 5.032 soci presenti di persona o con le deleghe hanno detto sì alla storica trasformazione. La prossima assemblea, a partire da quella che si terrà in aprile per il rinnovo dei vertici, si svolgerà con il voto legato al possesso azionario e non con il sistema capitario. Sarà, dunque, più importante il dato comunicato dal presidente del consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio: “In sala è presente il 21% del capitale sociale”.
 Aprendo i lavori, Moltrasio aveva brevemente ricordato i punti chiave del nuovo Statuto: l’abolizione della categoria di soci – d’ora in poi ci saranno solo azionisti – il limite al diritto di voto (al 5% per i primi due anni) l’ulteriore riduzione del cds (15 membri) e del cdg (7 consiglieri, di cui 3 manager della banca) il mantenimento del meccanismo del voto di lista e dell’elezione dei consiglieri di minoranza, sostituito però dal conteggio percentuale del capitale espresso e non dal numero di voti.
Poco prima lo storico presidente della Popolare di Bergamo (una delle anime confluite nel gruppo Ubi) Emilio Zanetti – ora fuori dai vertici – aveva ammesso: “Sono emozionato: mi auguro che la banca mantenga un forte legame con il territorio”; dal canto suo ha dichiarato che continuerà a detenere azioni della banca.
Moltrasio ha quindi sottolineato che “assecondare questo cambiamento ha senso proprio per la stabilità del nostro istituto”. Molti gli interventi dei sindacalisti, preoccupati per le ricadute occupazionali delle aggregazioni prossime future (considerate inevitabili). Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha messo in guardia da bagni di sangue e prepensionamenti obbligatori, chiedendo di avere “prudenza nelle fusioni”, e annunciando la richiesta “della presenza dei rappresentanti dei lavoratori, non del sindacato, nei consigli”.
Altri soci hanno criticato la scelta di Ubi di fare da apripista, bruciando le tappe (anche in vista dei ricorsi di anticostituzionalità, già presentati). Compreso Piero Lonardi (storico consigliere della Bpm e firmatario del ricorso al Tar, bocciato nel l’urgenza lo scorso 7 ottobre). Lonardi ha chiesto in assemblea “perché questa fretta, forse nell’interesse
solo di alcuni”? Ma il clima, tutto sommato, è molto tranquillo: l’inevitabilità della trasformazione sembrava già metabolizzato. Anche perché è arrivato il sostegno pubblico del primo azionista (fondi esclusi), la Fondazione di Cuneo.
L’ECO DI BERGAMO, sabato 10 ottobre 2015
 
Ubi Banca si trasforma in Spa – Un plebiscito all’assemblea di Brescia
 
Un plebiscito per la trasformazione in Spa di Ubi Banca: su 5.032 presenti – a Brescia o per delega nella sede centrale e in quelle distaccate – il numero dei favorevoli è stato di 4.975 soci, equivalente al 98,87%.
Diventa a questo solo poco più che una nota il numero di chi ha voluto esprimere un foto non favorevole: i contrari sono stati solo in 26, pari allo 0,0179%. gli astenuti 31.
Al presidente Moltrasio, circa un quarto d’ora prima delle 13, è toccato il compito di proclamare la trasformazione di Ubi in società per azioni. L’assemblea è poi proseguita per la trattazione di alcuni punti di ordinaria amministrazione «deliberando la modifica del regolamento assembleare al fine di adeguarlo alle nuove disposizioni statutarie conseguenti alla trasformazione in società per azioni».
È stata un’assemblea che si è svolta in tempi rapidissimi: poco meno di tre ore dall’apertura alla conclusione.
Il comunicato ufficiale ha precisato che «circa 2.500 sono stati i soci presenti fisicamente, rappresentanti il 20,91% del capitale sociale; i voti a favore sono stati 4.975 rappresentanti il 20,88% del capitale sociale e il 98,87% dei voti espressi, i voti contrari sono stati 26, gli astenuti 31».
Ecco la cronaca dei momenti salienti di questa giornata storica.
12,40, si vota
Dopo l’intervento di Moltrasio, che ha ringraziato tutti coloro che hanno voluto esprimere la loro opinione nel corso del dibattito, quello di Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca, che ha sottolineato come i nostri management abbiano un’ottica di lungo periodo. Quindi le controrepliche e infine il voto.
Alle 12,30 circa termina il dibattito, iniziato alle 10,35 (iscritti oltre venti soci)
I soci avevano a disposizione tre minuti a testa per completare l’intervento. Eccone alcuni:
Federico Caffi ha sottolineato che aspettare l’esito di ricorsi avrebbe provocato la paralisi della banca. La scelta è stata presa per tutelare i soci
Pino Roma annuncia il voto per la trasformazione in Spa e si dice convinto che Ubi non perderà per questo la vocazione territoriale
Lando Maria Sileoni, segretario generale nazionale Fabi, chiede una rappresentanza dei lavoratori nei consigli.
In alcuni interventi i soci si sono detti sono preoccupati per il valore futuro delle azioni.
In apertura l’intervento di Moltrasio
Andrea Moltrasio ha precisato che Ubi Banca conta circa 80 mila soci e 150 mila azionisti. L’istituto ha sempre mantenuto un dialogo aperto con il territorio e per lo sviluppo. Senza dimenticare il Sociale , strumenti innovativi ci cui essere orgogliosi
Assemblea iniziata alle 9,45
Alle 10,20 presenti 4.708 soci di cui 2.573 in proprio, presenti fisicamente tra Brescia e le sedi distaccate di Bergamo (Centro Congressi, Milano, Cuneo e Jesi).
Dopo mezzogiorno il numero dei soci è stato aggiornato a 5.030. Alla fine il dato complessivo è stato di 5.032.
Aboliti i pullman per l’assemblea, proprio per la presenza di sedi distaccate, Ubi ha comunque messo a disposizione l’opzione ferroviaria per molti soci del Centro Sud (area Carime di Roma, Bari e della Campania) che hanno raggiunto Brescia in treno.
Andrea Moltrasio, presidente del Consiglio di sorveglianza, presenta le modifiche allo statuto necessarie per la trasformazione in Spa e il diritto di recesso.
È presente il 20,74% del capitale sociale: in platea.
Presente in prima fila lo storico ex presidente Ubi Emilio Zanetti affiancato dai figli Matteo e Paolo.
Molti imprenditori e soci forti della Bergamasca hanno preferito seguire l’assise dal Centro Congressi di Bergamo. I soci delle sedi distaccate hanno possibilità di votare ma non di intervenire nel dibattito.
QUOTIDIANO.net 10 ottobre 2015
 
Banche, Ubi da popolare a spa. All’assemblea dei soci 99% di sì. Nozze con Mps? “Risponderemo”
L’a.d. Massiah si tiene le mani libere per ogni opzione, però al momento Ubi è tra le poche banche a non avere nominato un advisor per partecipare al consolidamento del settore. I sindacati chiedono di applicare il modello tedesco: “No a bagni di sangue, sì ai lavoratori nei Consigli dell’istituto”
 
Roma, 10 ottobre 2015 – L’assemblea dei soci di Ubi Banca, riunita a Milano, ha approvato la trasformazione in spa. La banca lombarda è la prima delle dieci grandi popolari coinvolte nella riforma del settore, approvata per decreto dal Governo e poi confermata in Parlamento, a dire sì al cambio dello statuto.
PLEBISCITO – Hanno espresso voto favorevole 4.976 soci, pari al 98,9% dei 5.032 presenti. Al momento del voto, arrivato dopo circa tre ore di assemblea, erano presenti 5.032 soci, di cui 2.767 in proprio, pari a circa il 21% del capitale sociale di Ubi Banca. Per il via libera al nuovo statuto era necessario il parere favorevole di due terzi dei presenti, vale a dire circa 3.500 voti.
IDENTIKIT – Ubi Banca, nata nel 2007 dalla fusione tra la bresciana Banca lombarda e piemontese (una spa) e la bergamasca Bpu (popolare), diventa società per azioni dopo un’esperienza di otto anni da cooperativa. La fusione, studiata e approvata nell’autunno del 2006, diede vita a quella che allora era la quarta banca italiana per rete (1.970 sportelli) e la quinta per impieghi (80 miliardi) e raccolta (79 miliardi). Secondo il report di giugno 2015 il gruppo Ubi banca vanta oggi 85 miliardi di crediti alla clientela, 72 miliardi di euro di raccolta e circa 1.560 sportelli. Il valore in Borsa di Ubi Banca secondo le quotazioni di venerdì a Piazza Affari è di 5 miliardi e 978 milioni.
‘NESSUNA FRETTA’ – “La trasformazione in Spa? Un passaggio storico”, lo definisce l’amministratore delegato, Victor Massiah. “Stiamo solo cambiando il vestito. Non è la forma giuridica che fa la banca, sono gli uomini”, commenta il presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti. Ai dubbi di alcuni piccoli azionisti sulla fretta ritenuta eccessiva, dato che per la trasformazione in spa le popolari interessate hanno tempo fino a fine 2016, ha replicato così il presidente del Consiglio di sorveglianza, Andrea Moltrasio: “Rimandare voleva dire solo buttare la banca nell’incertezza dei tribunali”. E ogni riferimento al ricorso di merito pendente al Tar è evidentemente voluto. Mercoledì 7 ottobre il Tar del Lazio ha infatti respinto la sospensiva contro il decreto del Governo sulle banche popolari. Il merito della causa sarà discusso il 10 febbraio prossimo.
ACCELERAZIONE – Già in primavera i vertici di Ubi avevano chiarito l’intenzione di spingere sull’acceleratore e di convocare i soci per il cambio di statuto prima di fine anno, con una tabella di marcia da subito molto più spedita rispetto a quella delle altre popolari coinvolte dalla riforma. Ora, dopo l’esito positivo dell’asset quality review della Bce e alla luce della rivoluzione attesa nel mondo delle popolari, Ubi è al centro delle indiscrezioni su un futuro consolidamento: da Mps al Banco Popolare, passando per Bper e Bpm, sarebbero diversi i candidati alle nozze. Ubi però al momento è tra le poche banche a non avere scelto un advisor per valutare eventuali fusioni e ha finora respinto ogni voce di mercato.
QUALE PARTNER? “Parliamo con tutti e pondereremo attentamente ogni decisione perché vogliamo essere sicuri di creare valore per i nostri azionisti”, è il mantra che ripete da mesi il consigliere delegato, Victor Massiah. I soci di Ubi saranno chiamati in primavera a rinnovare i Consigli di gestione e di sorveglianza per la prima volta senza il voto capitario. E sarà con ogni probabilità il prossimo Consiglio a valutare il prezzo e i concambi di eventuali nozze.
LA SCELTA – Nozze con Mps, magari sotto le pressioni degli uomini di Renzi? “Non possono mettersi loro a organizzare i merger e non lo fanno: possono auspicare, sollecitare, ma scegliamo noi”, è la risposta di Massiah che tuttavia non mette barriere a Siena: “Se Mps bussa alla porta non ho motivo di non rispondere”. Un’apertura che da Mef e da Bankitalia sarà certamente apprezzata.
I LAVORATORI – “Non tollereremo fusioni che comportino un bagno di sangue in tema di esuberi e di perdita dei posti di lavoro e non accetteremo alcuna deroga al contratto nazionale di categoria, che è costato ai lavoratori due giornate di sciopero e che ha portato 50 mila bancari in piazza”, afferma invece Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi (il maggior sindacato dei bancari), auspicando la piena compartecipazione dei lavoratori ai processi decisionali: “Chiediamo una presenza dei rappresentanti dei lavoratori all’interno dei consigli dell’istituto, come avviene in Germania, Francia, Austria, Svizzera e Olanda, e la costituzione di appositi comitati rappresentativi dei territori e dei soci azionisti affinché il Gruppo mantenga il suo legame con il tessuto locale”.

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