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FUSIONE BANCO-BPM, CASTAGNA RISPONDE A SILEONI

di Redazione
IL SOLE 24 ORE sabato 26 marzo 2016
 
«Una fusione alla pari che darà più profitti ai soci della Bpm» – Castagna: col Banco soluzione migliore dal punto di vista industriale rispetto a Ubi
 
«Sì, sono molto soddisfatto. Non potevo desiderare un’operazione migliore per Bpm. È una fusione che, viste le condizioni di partenza e quelle ottenute, può permettere a tutti gli stakeholder di vedere riconosciuto il loro valore, agli azionisti come ai dipendenti». Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Bpm, sarà il capoazienda del nuovo polo Bpm-Banco Popolare: 170 miliardi di asset, 25mila dipendenti, 2.500 sportelli. Napoletano, classe 1959, banchiere con un passato in Intesa, dove ha ricoperto la carica di direttore generale e ha gestito la Banca dei Territori, Castagna da oltre due anni è al timone di Bpm. Un istituto che ha rilanciato ai vertici del mercato italiano, assicurando il raggiungimento di una solidità patrimoniale e di una qualità degli attivi che la stessa Bce ha certificato con gli esami Srep.
Dottor Castagna, dopo mesi di trattative, assieme al numero uno del Banco Popolare Pierfrancesco Saviotti avete dato il via al memorandum of undestranding: è la prima fusione dal varo della Vigilanza unica. Dialogo complicato, quello con la Bce?
All’inizio ci sono state divergenze. Non è facile capire subito le logiche e le dinamiche delle banche popolari. Durante i vari confronti che abbiamo avuto, è emerso chiaramente che avevamo interessi convergenti e si è potuti arrivare all’annuncio dell’operazione.
E con il Banco, come è andata?
All’inizio di una trattativa, ognuno si propone di perseguire i propri obiettivi. Per noi era essenziale la parità tra le parti nel futuro gruppo, la valorizzazione di Milano come centro finanziario e la continuazione dei nostri valori e dei legami virtuosi con il territorio. Col tempo le rigidità si sono affievolite. E nel nostro caso è andata come ci auguravamo. Molti speravano di fare un’operazione simile con il Banco.
Quella con il Banco Popolare era davvero la migliore fusione possibile per Bpm?
Già pensavo che fosse la migliore senza aumento di capitale del Banco. A maggior ragione lo è ora che il Banco ha deciso di varare un aumento di capitale da un miliardo.
Perché ne è così convinto?
Perché è la migliore fusione per la valenza industriale del progetto. Per i territori che copriamo anzitutto, visto che per il 77% siamo presenti nel Nord Italia, nelle aree più ricche del Paese. Ma lo è anche per la possibilità di sfruttare le fabbriche prodotto di entrambi i gruppi, che sono eccellenti. A questo si è aggiunge la possibilità di creare sinergie anche su diversi fronti. Come quello dell’investment banking: partiremo dalla forza del nostro radicamento in Lombardia, e svilupperemo le competenze sull’intera base dei nostri clienti, che ora è molto più ampia e si estende in aree particolarmente attrattive: penso alle migliaia di piccole e medie imprese che hanno sempre più bisogno del supporto della finanza per operazioni straordinarie.
Avete esplorato diverse strade prima di arrivare alla fusione con il Banco. Da Carige a Bper a Ubi.
Come è’ andata?
Ne abbiamo esplorate tante, di strade. Tutte quelle possibili. E in tutti i casi, il mandato che avevo ricevuto dal consiglio era di procedere verso una fusione alla pari e con una banca con cui condividessimo gli stessi valori.
Quella con Ubi si è interrotta sul finale, a vantaggio dell’operazione con i veronesi. Lando Sileoni, il sindacalista della Fabi, ha chiesto di sapere quali sono stati i motivi che hanno portato al fallimento delle trattative Ubi-Bpm. Che cosa risponde? 
 
Con Ubi abbiamo discusso ma senza trovare l’equilibrio che cercavamo. Avevo dato anche la mia disponibilità a fare un passo indietro, pur di riuscirci. Ma questo non è stato sufficiente a concludere un’operazione che desse pari dignità. Un equilibrio che invece abbiamo riscontrato nel deal con il Banco.
Bpm vedrà però alzarsi il suo rapporto tra crediti deteriorati e impieghi: i benefici superano gli oneri?
Certo. Perché grazie all’operazione, per l’azionista di Bpm si prospetta una creazione di valore enorme. Proiettando gli obiettivi di utile aggregato di Banco e Bpm, e incorporando le sinergie, c’è una creazione di valore che è compresa tra il 40 e il 50% rispetto all’utile attuale. Non solo. Grazie all’aumento di capitale, porteremo il livello di copertura delle sofferenze a quello delle prime banche italiane.
Il nuovo gruppo ha programmato di alleggerire di 10 miliardi di euro gli Npl entro il 2019.
Come farete?
Abbiamo un programma preciso e solido di riduzione, così come richiesto dalla Vigilanza. Venderemo sia i prestiti non garantiti, quelli più coperti e da cui partiremo, sia i prestiti garantiti. Per quelli garantiti vogliamo che ci sia un mercato più fair. E lì non vogliamo perdite. Ma accantoneremo lo stesso, per portare le coperture al livello dei prezzi potenziali di mercato. Nel contempo, portiamo il Cet 1 ratio al 13,6%. Il messaggio al mercato è chiaro: se prima capitale e crediti dubbi erano considerati aspetti critici, oggi diventano un benchmark per l’intero sistema.
Dopo la fusione, come potrebbe cambiare la politica dei dividendi?
Il rafforzamento del capitale annunciato dal Banco ci fa guardare con serenità alla redditività prospettica, che non servirà più a coprire gli Npl. Tutto ciò aiuterà il payout ad essere più interessante.
Ci saranno licenziamenti?
Come già detto ieri durante la presentazione alla comunità finanziaria, il licenziamento è una parola che è fuori dal nostro linguaggio. Le uscite saranno solo su base volontaria, con il supporto del nostro fondo di categoria.
Non avere alle spalle un nocciolo duro di azionisti può avere un peso in prospettiva?
Credo che questo progetto abbia le potenzialità per richiamare l’attenzione di nuovi investitori. Non volevamo cercare un nocciolo duro prima di un’operazione risultando così difensivi, ma oggi che si prospetta la creazione del terzo polo, può essere importante avere un gruppo di azionisti che supportino il progetto di crescita della nuova banca.
La fusione di Bpm è però subordinata all’ok dei soci Bpm, il cui azionariato ha sempre riservato colpi di scena in assemblea. Perchè stavolta le cose dovrebbero andare diversamente?
L’assemblea è sovrana. Ma credo che questa operazione, che abbiamo comunicato ufficialmente solo da due giorni, sarà ulteriormente apprezzata quando inizieremo a raccontarla e a spiegare, quando sarà possibile, il piano industriale. Questo vale sia per il mercato e la Borsa sia per i colleghi e i soci. Inoltre, entro l’anno c’è la scadenza della trasformazione in Spa. Gli stakeholder avranno la possibilità di votarla conoscendo il destino della banca; noi stiamo proponendo una fusione alla pari con una banca importante, con lo stesso nostro dna di popolare e un patrimonio solido che ci consentirà di decidere come muoverci e di resistere al meglio a potenziali acquisizioni anche dall’estero. E’ davvero il miglior progetto possibile. © RIPRODUZIONE RISERVATA Luca Davi

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