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UNICREDIT, LA LOTTA DURA DELLA FABI

di Redazione
Mentre va avanti la trattativa sugli esuberi, il leader della FABI incalza i vertici: “Il nuovo piano industriale è una vergogna sociale. Necessario diminuire le uscite, prevedere nuove assunzioni e riaprire il confronto sugli inquadramenti. Gli errori di gestione del gruppo non possono essere addebitati ai lavoratori”.
–Il Sole 24 Ore, mercoledì 1° febbraio 2017–

UniCredit e i sindacati al lavoro per trovare un’intesa sui 3.900 esuberi

di Cristina Casadei

Il palazzo di Unicredit a Milano, febbraio 2014. ANSA/ MATTEO BAZZI

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L’agenda per arrivare a una sintesi nel negoziato sugli esuberi annunciati dal gruppo UniCredit è fitta e problematica tanto quanto le peggiori nebbie della Bassa Padana. Le delegazioni dei sindacati (sono presenti tutte le sigle, Fabi, First, Fisac, UIlca, Unisin, Sinfub, Ugl credito) e dell’istituto sono al lavoro ormai da diverse settimane, mentre si avvicina la data che indica il termine della trattativa. Ormai ci siamo, mancano pochi giorni, tenendo conto anche di una eventuale piccola flessibilità che magari ci può essere data la portata che dovrà avere l’accordo. Gli incontri comunque vanno avanti e ci sono molti margini per trovare un accordo che porti la sigla di tutti. 

Il piano “Transform 2019” prevede 3.900 esuberi in Italia, dove saranno chiuse 883 filiali. Numeri che arrivano all’indomani di accordi sindacali che hanno portato all’uscita di quasi 6mila bancari (con uscite ancora da effettuare entro il 2018). Le organizzazioni sindacali non sono disposte ad accettare il massiccio piano da 3900 uscite senza che sia previsto un consistente numero di assunzioni che garantisca un adeguato turn over e dunque l’operatività degli sportelli. E colgono l’occasione per chiedere di riaprire il confronto sugli inquadramenti, fermo dal 2010, per dare il giusto riconoscimento professionale ai lavoratori, oltre che un contributo aziendale sulla polizza sanitaria uguale per tutti i dipendenti, perché la contribuzione attuale penalizza soprattutto i giovani. Infine non sono disposte a fare concessioni sull’erogazione del premio.  
«In questa trattativa, l’azienda dovrà conquistare l’adesione della Fabi all’accordo, sistemando preventivamente la partita sugli inquadramenti e poi dovrà assicurare al sindacato un numero consistente di assunzioni a fronte di prepensionamenti e pensionamenti volontari. Il numero complessivo delle uscite deve essere comunque diminuito perché è impensabile che il Gruppo UniCredit sia l’unico in Italia a tagliare in 3 anni 10mila posti di lavoro, aggiornando sistematicamente piani industriali mai arrivati alla loro scadenza», dice Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. Dal punto di vista occupazionale, «il piano industriale del gruppo rappresenta una vergogna sociale e le stesse eccessive chiusure degli sportelli bancari dimostrano il fallimento di una gestione che non può essere addebitato ai lavoratori in termini di mancata erogazione del Vap o di eventuali tagli economici. Ci aspettiamo da Paolo Cornetta, capo del personale Unicredit, una presa di posizione netta e chiara rispetto agli obiettivi che il gruppo vuole raggiungere: se non ci convincerà, non sottoscriveremo l’accordo», aggiunge Sileoni.

Anche in un settore che negli anni ha affrontato molte ristrutturazioni e riorganizzazioni, i numeri dei piani dell’ultimo triennio del gruppo UniCredit fanno un certo effetto e quasi fanno pensare alla sparizione di una banca di piccole dimensioni. È indubbiamente una trattativa intensa soprattutto per la dimensione quantitativa del piano e per la prospettiva. Per questo c’è anche chi chiede al management di non focalizzarsi solo sui tagli e sull’aumento di capitale, ma anche sul rilancio del gruppo. Il segretario generale della First Cisl, Giulio Romani, ha chiesto già in passato che «il nuovo piano sia in grado di tornare a offrire a tutti gli stakeholder di UniCredit, a partire dai lavoratori, un progetto convincente di sviluppo e di crescita, all’altezza delle sfide dei tempi e delle potenzialità di questa banca. Semmai a preoccuparci è la copertura finanziaria delle uscite previste». Elena Aiazzi, segretario nazionale della Fisac Cgil, non si sbilancia perché la delegazione sindacale è ancora in attesa di risposte da parte della banca. Risposte che dovranno tenere conto anche delle prospettive e di come la banca potrà essere in futuro con una riduzione degli organici come quella che si sta affrontando. 


 

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