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SILEONI: “IL SINDACATO PUÒ FARE MOLTO CONTRO LA DISCRIMINAZIONE DI GENERE”

di Redazione

UN BANCARIO SU DUE È DONNA, MA POCHE HANNO RUOLI APICALI

Il Segretario Generale Lando Maria Sileoni all’evento di FABI Bologna “Gender Pay Gap” per fare un focus sul mondo del credito

Bologna, 23 novembre 2018 – Stesso percorso stessa retribuzione? Da questa domanda prende il via iniziativa di Fabi Bologna sul Gender Pay Gap e che si inserisce all’interno del Festival “La violenza illustrata”: un convegno per parlare della differenza nel mondo del lavoro tra uomo e donna, “così uguali, così diversi”, come riporta la locandina dell’evento al quale hanno partecipato ospiti del mondo delle pari opportunità. L’obiettivo è quello di confrontarsi sul tema delicato della differenza di genere che coinvolge tutti i settori, incluso quello bancario raccontato dal Segretario Generale della FABI, Lando Maria Sileoni, presente all’incontro proprio per fare un focus mirato sugli oltre 300 mila lavoratori del mondo del credito: una discussione appassionata introdotta e presentata dall’organizzatrice Annamaria Zanardi, Segreteria FABI Bologna e moderata da Simona Sacconi, responsabile dell’Ufficio stampa FABI.

 

All’evento sono intervenute Giorgia Campana, consigliera di Parità della Città metropolitana di Bologna, Valeria D’Onofrio della Casa delle donne di Bologna, Susanna Zaccaria, assessore alle Pari opportunità del Comune di Bologna e Luisa Rosti, docente di Economia di Genere all’Università di Pavia.

 

L’intervento del Segretario Generale, che si è complimentato per l’iniziativa di FABI Bologna, è stato molto apprezzato e seguitissimo. Sileoni ha declinato la problematica della differenza di genere nel settore bancario e oltre a tracciare un quadro storico dell’evoluzione del lavoro in banca ha riportato i dati elaborati dalla FABI e ripresi in un articolo del Corriere della Sera che ha citato anche il convegno Gender Pay Gap. “Nel settore bancario le donne sono già il 50%. In Unicredit e Intesa arrivano al 51% superando gli uomini di due punti percentuali. Con i prepensionamenti di quota 100 inoltre saranno soprattutto gli uomini a uscire perché non hanno buchi nei versamenti dei contributi, senza considerare che le donne, entrate in massa in banca dagli anni ’80 in poi, hanno un’anzianità di servizio minore”. Ma la situazione, anche nel settore del credito non è rosea: “Nonostante la presenza massiccia – ha detto Sileoni – solo il 20% delle donne ricopre posizioni apicali contro la media europea del 29%. E tra gli amministratori delegati le donne sono solo il 3%”.

Le responsabilità di chi sono? “Gli uomini fanno casta e non si fidano delle donne – dice il Segretario Generale – e le donne devono prendere coscienza delle proprie capacità e lasciarsi alle spalle certi retaggi del passato. Anche per questo il sindacato deve avere un ruolo attivo nello scardinare i pregiudizi e impegnarsi costantemente per ridurre la discriminazione. Non bisogna lasciare indietro nessuno ed è necessario avere la capacità di valorizzare le diversità. Durante il confronto per il rinnovo del contratto nazionale porteremo questa istanza al tavolo con Abi”.

 

E il settore bancario raccontato da Sileoni si inserisce nell’analisi dei dati che emergono dalla ricerca della professoressa Rosti: indagine secondo la quale in ogni paese del mondo le donne guadagnano in media meno degli uomini, anche se nella maggior parte dei paesi sviluppati le donne sono più istruite. Un divario evidente sin dal primo impiego e che inizialmente non è molto consistente, ma diventa più marcato e continua a crescere per tutta la durata della vita lavorativa: le laureate guadagnano circa il 90% di quanto guadagnano i laureati a 25 anni, ma all’età di 45 anni la loro retribuzione è quasi la metà (55%) di quella dei laureati. La ricerca evidenzia che più del 70% di questo divario è dovuto al fatto che le dipendenti non ricevono dalle aziende per cui lavorano gli stessi aumenti e promozioni dei dipendenti, mentre la restante parte è legata alla mobilità esterna. Di conseguenza, mentre i salari maschili continuano a crescere, i salari femminili si appiattiscono quando le donne diventano mogli e madri.

 

Ma quello che conta non è solo la differenza di salario. Per dare un quadro più articolato e completo del divario salariale di genere, Eurostat ha sviluppato un indicatore, denominato Gender overall earnings gap, che misura l’impatto di tre fattori specifici – guadagni orari, ore retribuite e tasso di occupazione – sul reddito medio di uomini e donne in età lavorativa. Significativo sottolineare che in Italia il divario di genere nei tassi di occupazione rappresenta di gran lunga il principale contributo alla disparità di retribuzione complessiva.

“È importante sottolineare – ha detto la Rosti – che differenza di genere e discriminazione di genere sono concetti diversi e non possono essere usati come sinonimi. Poiché la discriminazione si produce solo in caso di disparità di trattamento a parità di ogni altra condizione”. E proprio per analizzare meglio il fenomeno esiste la procedura di Oaxaca-Blinder, ossia la scomposizione del GPG in una parte “spiegata”, quindi attribuibile a reali differenze di genere e una parte “non spiegata”, cioè tutto quello che può essere attribuito a “discriminazione di genere”. Secondo le stime Eurostat del 2014 in Italia il GPG era pari al 6,1%, ma con una componente spiegata del – 6,0% e una non spiegata del 12,1%. “Significa – dice la Rosti – che le donne che lavorano possiedono mediamente caratteristiche produttive migliori di quelle degli uomini, ma la componente discriminatoria è prevalente”.

“È importante specificare – spiega la Rosti – che, anche quando si trova nel differenziale salariale una significativa componente discriminatoria, questa discriminazione non è imputabile ad un comportamento intenzionale, deliberato, volto a nuocere del decisore, ma è di natura statistica, ovvero è l’esito di un errore di valutazione inconsapevole che in un contesto di asimmetria informativa lascia spazio ai condizionamenti degli stereotipi”.

Ma non solo gli uomini utilizzano stereotipi. “I condizionamenti – conclude la Rosti – si manifestano nei giudizi espressi da individui di entrambi i generi. Esiste infatti la “sindrome dell’ape regina”: espressione usata per indicare il comportamento delle donne di successo che difendono il loro predominio ostacolando la carriera di altre donne”.

Come porre rimedio? “Dato che gli stereotipi nascono dal vuoto informativo – ha detto Susanna Zaccaria, assessore alle Pari opportunità del Comune di Bologna – gli strumenti che possono contrastarli sono: l’informazione, la formazione e la conoscenza. Gli stereotipi hanno valenza culturale, si apprendono, e proprio per questo possono cambiare grazie alle politiche di pari opportunità, determinando quel cambiamento culturale necessario.

“È importante – ha detto Giorgia Campana, consigliera di Parità della Città metropolitana – certificare l’applicazione di sistemi retributivi non discriminatori. E sarà necessario farlo fino a quando l’abbinamento degli individui alle posizioni lavorative, e alle corrispondenti retribuzioni, non rifletterà la pari produttività potenziale dei due generi, eliminando quella componente discriminatoria delle retribuzioni che è ingiusta dal punto di vista delle donne e inefficiente dal punto di vista della collettività anche a livello economico”.

 

 

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