Il segretario generale del sindacato avverte l’Abi: nessuno tocchi il Fondo di solidarietà. E niente tagli agli organici né in busta paga. È ora che anche i top manager degli istituti rinuncino a qualcosa.
Si preparano mesi caldi per i sindacati del credito. Lunedì 28 febbraio riprenderà la trattativa tra Abi e parti sociali per la ristrutturazione del Fondo di solidarietà. Il tavolo si è aperto a fine 2010 con posizioni molto distanti e il percorso per arrivare a un accordo non è semplice.
I sindacati puntano a mantenere il Fondo come istituto di protezione sociale frutto di un accordo collettivo recepito da un decreto ministeriale. L’alternativa prefigurata dall’Abi è però lo scioglimento dell’ammortizzatore sociale di settore e l’inserimento di un’indennità di disoccupazione. Insomma, la strada sembra in salita. Deve invece ancora iniziare la partita per il rinnovo del contratto di lavoro. È appena terminato il lavoro dei dipartimenti unitari dei vari sindacati e a maggio partirà la trattativa in Abi. Mesi caldi, insomma, come spiega a MF-Milano Finanza Lando Sileoni, segretario generale della Fabi.
Domanda. A breve riprenderà in Abi la trattativa sul Fondo di solidarietà. A dicembre le posizioni erano ancora abbastanza distanti, che cosa vi aspettate?
Risposta. Siamo contrari all’introduzione nel settore dell’indennità di disoccupazione. Non l’abbiamo mai chiesta né la vogliamo in quanto introdurrebbe, a livello di sistema, dei licenziamenti mascherati obbligando i lavoratori cinquantenni, in casi di crisi aziendali, al pensionamento anticipato. Si creerebbe così un paradosso tutto italiano: i bancari cinquantenni con almeno 30 anni di contribuzione sarebbero costretti a lasciare il loro posto di lavoro percependo un assegno ben al di sotto del loro ultimo stipendio, mentre l’attuale legge prevede che occorrono 65 anni di età o 40 anni di contribuzione per essere collocati in pensione.
D. A maggio inizierà anche la trattativa sul contratto nazionale di lavoro. Quali sono i punti non negoziabili per la Fabi?
R. Il rinnovo si preannuncia difficile in quanto le banche lamentano una crisi economica senza precedenti, dimenticando però che ai tempi dell’età dell’oro, quindi fino al 2007, la ricchezza, proveniente dalla produttività, non è stata mai equamente distribuita tra i lavoratori del credito e gli azionisti. In ogni caso, i punti determinanti per la nostra organizzazione sono l’ingresso al lavoro dei giovani, un recupero retributivo secondo equità incidendo sulle rendite dei vertici, una formazione per preservare l’impiegabilità delle risorse umane e dei sistemi incentivanti orientati a premiare la qualità del lavoro. È paradossale che quei dirigenti che lamentano una forte crisi economica delle loro aziende sono gli stessi che le hanno gestite in questi ultimi 12 anni. Se gestire una banca vuol dire «che se l’economia va bene si fanno gli utili, se va male si generano perdite» allora siamo capaci tutti. Noi vogliamo confrontarci anche sul costo dei cda, dei comitati di gestione e di sorveglianza, sull’esercito dei consulenti esterni e sulle stock option ai vertici.
D. Quali concessioni siete disposti a fare?
R. Francesco Micheli, il presidente dell’esecutivo Abi, in questi ultimi due mesi ha dapprima parlato di «rinnovo contrattuale a costo zero», correggendo poi il tiro con «moderazione salariale». Lo stesso Micheli, che io stimo pur non condividendone le idee, parla poi di maggiore produttività. È impensabile che la parte economica di un nuovo contratto possa considerarsi a costo zero, anche perché la stessa Abi ha condiviso assieme al governo e sottoscritto nel 2009 una riforma sugli assetti contrattuali che prevede un adeguamento economico (indice Ipca) delle retribuzioni pari attualmente al 6,9%. Nella piattaforma unitaria che presenteremo a breve è previsto anche un ulteriore aumento per una quota di produttività di sistema. Per Micheli produttività significa «correre dal cliente»: il vero problema è che dal cliente non ci va soltanto un bancario ma almeno quattro di quattro banche differenti con prodotti finanziari scarsamente innovativi. La vera scommessa delle banche è il recupero del rapporto con il territorio attraverso una vera consulenza. Insomma, un ritorno al modello tradizionale di fare banca. Per garantire agli azionisti lauti guadagni, in questi ultimi dieci anni i modelli distributivi delle aziende sono più volte cambiati, disorientando il lavoratore e la stessa clientela. Micheli poi parla di «troppo personale» allo sportello, noi pensiamo al contrario che troppa gente alberghi nei piani alti delle aziende.
D. Si è chiusa la vertenza sugli esuberi in Abi. Che ne pensa?
R. L’accordo in Abi non può essere preso a modello, come ha dichiarato Micheli, in quanto si tratta di un’«associazione di tendenza» che persegue finalità di carattere sindacale per conto delle banche associate. Sia chiaro: i dipendenti dell’Abi hanno ragione da vendere, ma non lavorano per un’azienda di credito. Piuttosto vorrei sapere quali sono i motivi che hanno causato i cinque anni di perdite che denuncia l’associazione.
D. Il nuovo piano industriale Intesa Sanpaolo è l’ultima grande ristrutturazione bancaria in vista. Con che spirito la Fabi siederà al tavolo della trattativa?
R. Con il solito spirito costruttivo. In Intesa abbiamo tra i migliori dirigenti sindacali della nostra organizzazione e abbiamo anche la consapevolezza che il gruppo in questi ultimi tempi si è fatto carico di piccole banche e aziende in crisi garantendo un’immediata occupazione ai lavoratori di quelle aziende, che altrimenti sarebbero rimasti senza lavoro. L’amministratore delegato Corrado Passera sa bene, però, che sul suo piano industriale saranno puntati gli occhi di molti osservatori. Come già accaduto per il piano Unicredit, non faremo sconti ma saremo attenti e vigili. L’ideale sarebbe un piano industriale senza esuberi come imporrebbe il ruolo di «banca di riferimento sociale del Paese», ruolo che il gruppo Intesa ha giustamente meritato fino a oggi.
(Milano Finanza, 25 febbraio 2011)