Home Articoli CONTRATTO NAZIONALE, SILEONI IN DIRETTA SU CLASS CNBC

CONTRATTO NAZIONALE, SILEONI IN DIRETTA SU CLASS CNBC

di Redazione

Jole Saggese intervista il segretario generale della Fabi. Al centro, il prossimo incontro in Abi per il negoziato sul Ccnl, la tassa sugli extraprofitti a carico delle banche, il futuro del Monte dei Paschi di Siena

Le trattative per il rinnovo del contratto nazionale in Abi, con il prossimo incontro fissato per giovedì 21 settembre, la tassa sugli extraprofitti a carico delle banche, il futuro del Monte dei Paschi di Siena: questi gli argomenti al centro dell’intervista rilasciata dal segretario generale Fabi Lando Maria Sileoni al caporedattore di Class-Cnbc Jole Saggese, trasmessa in diretta sul canale finanziario lunedì 18 settembre.
Sul rinnovo contrattuale dei bancari, atteso da oltre 264mila lavoratori del settore, puntuali le dichiarazioni del numero uno Fabi: «I prossimi incontri saranno cruciali perché noi vogliamo chiudere, se ci saranno le condizioni, entro la fine dell’anno. Dopodiché, partiremo dai 225 miliardi di utili che hanno fatto le banche: non è un elemento di poco conto, considerando che anche il Ceo del Gruppo Intesa, Carlo Messina, al nostro Consiglio nazionale, ha aperto in maniera molto motivata, circostanziata alle nostre richieste, appoggiando completamente l’aumento salariale di 435,00 euro. Quindi, noi non partiremo dai 435 euro, il 21 settembre, in Abi: quello è un importo che diamo per scontato».

E Sileoni prosegue: «Le altre banche non possono, sostanzialmente, eccepire nulla, se non essere arrivati secondi rispetto all’iniziativa ottima dell’amministratore delegato del Gruppo Intesa, per un motivo molto semplice: noi non ci siamo inventati cifre che abbiamo sognato la notte, ma abbiamo proposto cifre che hanno serie giustificazioni, vale a dire il recupero dell’inflazione e la redditività delle banche. Quando, per redditività delle banche, parliamo di 225 miliardi, è chiaro che una parte deve andare ai dividendi, agli azionisti, e una parte deve andare alle lavoratrici e ai lavoratori bancari, soprattutto perché in questi anni hanno sempre lavorato in prima linea, anche durante la prima e la seconda fase del Covid, essendo il nostro un servizio pubblico essenziale».

«Noi stiamo lavorando, ufficialmente e sottobanco (“ci sono dei colloqui tra chi rappresenta i sindacati e le banche per tastarci il polso”, specifica il leader Fabi a Saggese che chiede, incuriosita, cosa intenda per “sottobanco”) ma è chiaro che ormai gli argomenti sono ben delineati, c’è una nostra piattaforma unitaria che fa delle richieste e ora, il 21 settembre, tra qualche giorno, conosceremo ufficialmente quelle che sono le sensibilità delle banche: che io già conosco, però non posso anticipare», questo il commento finale di Sileoni sull’argomento contratto.

Una trattativa contrattuale che riparte con uno scenario diverso rispetto a quello dell’ultimo incontro in Abi: a ripresa negoziato è subentrato infatti un nuovo e dibattuto tema, quello della tassa extra-profitti per le banche.
Sileoni torna pertanto ad esporre la posizione della Fabi, ripresa al tempo da tutti i media nazionali: a differenza delle altre organizzazione sindacali, che espressero immediato favore all’iniziativa, la Fabi preferì prendere del tempo per riflettere a fondo sulla reale fattibilità ed efficacia della proposta, onde evitare ricadute non previste. Il Governo stesso, appena dopo, arretrò poi rispetto all’iniziale posizione, rivedendo meglio le stime.
E Sileoni fa il punto sullo scenario attuale: «Le banche stanno trattando a fari spenti – e su questo condivido le modalità di Patuelli – dovranno tener conto della posizione del Governo, che pare al momento non voler fare passi indietro, immagino troveranno un accordo entro settembre al massimo, perché i tempi sono quelli. Quello che tengo a sottolineare è che la soluzione finale non inciderà minimamente sul rinnovo del contratto nazionale».

E l’elemento della mancata remunerazione dei conti correnti, argomento strettamente connesso alla tassa sugli extraprofitti: «A chi dice che il conto corrente è uno strumento di servizio, rispondo che questa è solo una stupidaggine, non c’è scritto da nessuna parte. Questa è solo un’invenzione di chi vuole spostare l’attenzione della clientela, costringendo i lavoratori bancari a vendere prodotti finanziari e assicurativi e gestioni patrimoniali, per i quali i ritorni, per le banche, sono molto più alti», è questo il perentorio commento del leader Fabi. Che prosegue: «Il conto corrente deve essere remunerato, la decisione è solo italiana, in Italia il conto corrente rende 0% o intorno allo 0%. Un’agenzia internazionale, Bloomberg, ha invece recentemente evidenziato come, nel resto d’Europa, ci siano conti correnti liberi che remunerano dal 2% al 3,8%. Sarebbe stato sufficiente che le banche italiane avessero garantito semplicemente l’1%, o intorno all’1%, per evitare di dare al Governo il pretesto per questa tassazione sugli extraprofitti.
È stato anche detto che è una tassazione che strategicamente non sta in piedi, che politicamente non sta in piedi perché scoraggia gli investitori: è un’altra stupidaggine totale, il problema è che non c’è il rischio d’impresa, nel momento in cui io do lo 0,% per anni, e sui mutui e prestiti mi attesto dal 4% al 5% – 6%. In più, spingo sui tassi variabili che poi stanno portando in Spagna, per esempio, e qui da noi stanno creando problemi alla povera gente».

Jole Saggese ricorda, infatti, il rischio di credit-crunch per il nostro Paese, con il rialzo dei tassi Bce che, ovviamente, non sta aiutando.

«La Bce non è il governo italiano, non è il governo tedesco, non è il governo francese – questo il netto incipit, da parte di Sileoni, all’argomento – La Bce è una Banca centrale che vigila sui gruppi bancari, e dovrebbe limitarsi a questo. Invece fa politica, dà limitazioni, dà pagelle e dice cosa si possa o non si possa fare rispetto alle attività dei governi. In questi mesi, in particolare, lo sta facendo verso le prese di posizione del governo italiano. Questo non va bene perché la finanza si dovrebbe limitare a fare la finanza, e la politica, che è eletta dal popolo, dovrebbe governare. Conosco personalmente giornalisti, economisti, professori universitari che sono scesi in campo a tutela delle banche contro il provvedimento che ha preso il Governo, non sono per un provvedimento “lacrime e sangue”, sono per un provvedimento equo, che dovrà riguardare non solo il settore bancario ma anche quei settori che hanno fatto profitti “anomali” e gonfiati. Mi viene tuttavia da sorridere quando sento economisti o scrittori che parlano perché, magari, hanno il parente che gestisce la banca o il marito che possiede la banca. Questi sono personaggi che vengono invitati in tv, anche io sono spesso presente in trasmissioni tv, e mi piacerebbe avere un contraddittorio con loro, perché stanno dicendo stupidaggini che non stanno né in cielo né in terra. Dichiarare che il conto corrente è uno strumento di servizio è una bestemmia: io posso lasciare sul conto corrente un milione di euro o due milioni di euro e, come sempre è stato, deve essere dalla banca remunerato. Invece, viene remunerato intorno allo 0% perché, come già detto, i dipendenti di banca sono spinti dai vertici a vendere prodotti finanziari e assicurativi che sono molto più remunerativi per la banca.
Ciò che nessuno dichiara è che, in realtà, questi provvedimenti servono a nascondere che, se i grandi gruppi bancari dovessero pagare una tassa alta allo stato, andrebbero in difficoltà per la distribuzione dei dividendi agli azionisti».

Inevitabile un focus su Montepaschi e la sua privatizzazione: «Lovaglio ha bene operato perché, in una settimana, abbiamo fatto un accordo sugli esuberi, che era una delle zavorre, secondo la Bce, che non permetteva alla banca di trovare un partner che subentrasse. Noi siamo per far rimanere Montepaschi autonoma ancora per un periodo di tempo, crediamo ci siano le condizioni, ma entro il 2024 lo Stato ha un impegno con la Bce per uscire dal 64% del mercato, e allora le soluzioni sono due: un accordo tra Stato e Bce per diluire l’uscita e prendere tempo ma, soprattutto, lo Stato dovrebbe rinegoziare la data di uscita, perché all’orizzonte non appaiono gruppi importanti pronti a subentrare e ad acquisire la banca. Oppure, se la Bce rimanesse rigida sulle date, unica alternativa è lo “spezzatino”: sarebbero chiamati 3 o 4 gruppi bancari, ma ognuno di essi, per far parte della partita, cercherà, legittimamente, di scegliersi gli sportelli e sarà difficile trovare un accordo».
La conclusione di Sileoni sul gruppo senese: «Noi ci auguriamo che Montepaschi resti autonoma per qualche anno, perché è stata gestita bene, perché le lavoratrici e i lavoratori hanno fatto sacrifici enormi, perché ci sono le condizioni per farlo dal punto di vista economico e politico. Va pertanto risolto, una volta per tutte, il nodo del 2024».

You may also like