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LA FABI ALL'ATTACCO

di Redazione

– da LIBERO, domenica 12 giugno 2011 –

“Il sistema degli sportelli – Banche solide, non per i bancari”

Sotto la regia di Profumo, Armenise, Innocenzi e Arpe, tra esuberi e prepensionamenti gli istituti italiani dal 2000 hanno lasciato a casa quasi 40 mila persone. E non è finita.

di Francesco De Dominicis

Ha ragione Mario Draghi quando sostiene che il sistema bancario italiano ha retto – e meglio di altri – alla bufera finanziaria internazionale. Secondo il governatore della Banca d’Italia, gli istituti della Penisola sono usciti indenni dalla crisi, senza alcun fallimento e, soprattutto, senza che lo Stato abbia tirato fuori quattrini. I cittadini, quindi, non sono stati salassati con nuove tasse per salvare le banche. Menomale. La tempesta perfetta sui mercati finanziari, in ogni caso, non è stata una stagione a costo zero, nemmeno per l’industria creditizia della Penisola. Il conto che non è stato presentato ai contribuenti sta per essere recapitato altrove: cioè sulla testa dei colletti bianchi che lavorano allo sportello.Un allarme esagerato? Non proprio. Del resto a lanciare il primo, duro segnale è stata la scorsa settimana IntesaSanpaolo: 10 mila esuberi su 80 mila lavoratori. Più del 10%: un fulmine a ciel sereno. E il passetto indietro degli scorsi giorni compiuto dai vertici di Ca’ de Sass con lo sconto di 2mila licenziamenti non cambia granché la sostanza che assume toni drammatici: allo sportello la vita è cambiata. Il posto fisso pare un miraggio e i sindacati si preparano alla guerra. Quella della prima banca italiana, peraltro, è solo un pezzetto di una battaglia assai più vasta, che si snoda attorno alla sfida sul contratto di lavoro. Sfoltire il personale pare l’unico modo per tenere a galla i conti delle banche. Pure il Monte dei paschi di Siena e Ubibanca – terza e quarta impresa creditizia del Paese –si apprestano a mettere mano al piano industriale: migliaia di esuberi sono già in agenda. C’è chi dice che prima o poi alla Popolare di Milano, salvo interventi esterni (si parla di Mediobanca), dovranno rivedere i programmi e valutare tagli all’organico. Esuberi e prepensionamenti, in ogni caso, non sono una novità allo sportello. Negli ultimi dieci anni la forza lavoro nel settore creditizio è calata di 38 mila unità. Solo negli scorsi 24 mesi è passata da 343mila a 336 mila posizioni. Dentro Intesa e Unicredit i ridimensionamenti dell’organico più significativi. Tuttavia, un contributo robusto è arrivato anche da Ubi, Mps e Banco Popolare. Per fare chiarezza, serve un passo indietro. Il kick off, fa notare un banchiere di lungo corso, è arrivato grossomodo «nel2000, quando giovani e rampanti manager hanno preso in mano l’industria bancaria: Giampiero Auletta Armenise, Matteo Arpe, Fabio Innocenzi, Alessandro Profumo e Gianpiero Fiorani». Di fatto gli artefici delle mega aggregazioni e fusioni che hanno creato tanti giganti, ma con le gambe non troppo stabili, almeno per certi aspetti. Un gruppetto di cui fa parte, per la verità, pure Corrado Passera di IntesaSanpaolo: l’unico ancora al suo posto, «capace di resistere al ritorno di fuoco delle grandi Fondazioni », azioniste dei principali gruppi bancari, che hanno fatto parecchie manovre ai vertici degli istituti.

La partita è delicata. Un ruolo chiave lo giocano i sindacati.

E qui la faccenda – secondo alcuni banchieri – è quasi tutta sulle spalle della Fabi guidata da Lando Sileoni. Le altre sigle del settore hanno un peso specifico piuttosto contenuto e sono accusate di aver avuto atteggiamenti troppo morbidi in passato, garantendo così anche il silenzio della politica. La Fabi, organizzazione indipendente con 100mila iscritti, detta la linea e ha cominciato ad alzare la voce, ricorrendo addirittura a minacciare uno sciopero nazionale.

E nelle scorse settimane è riuscita a fare muro con tutti i sindacati per stoppare un blitz dei banchieri, che avevano provato a introdurre le indennità di disoccupazione anche allo sportello. Una cassa integrazione ad hoc che avrebbe aperto le porte, secondo i calcoli dei sindacati, ad almeno 30 mila licenziamenti.

Opzione assai gradita ai vertici degli istituti, ovviamente. Costretti, adesso, a trovare alternative. Anzitutto hanno cercato di forzare la mano sul rinnovo delle buste paga. La regia è in mano al ―signore dei contratti‖, Francesco Micheli di Intesa: ma la sua presenza non ha ancora consentito alle banche il raggiungimento dei risparmi sperati. I banchieri, poi, hanno tentato di scaricare sui colletti bianchi anche i maggiori costi del fondo esuberi: scadute alcune regole e finite in soffitta le agevolazioni fiscali, gli ammortizzatori sociali dei banchieri ora pesano troppo sui bilanci degli istituti. Il giocattolo ha funzionato senza intoppi per una sfilza di anni e ha coperto sistematicamente gli errori dell’alta dirigenza. Ecco perché in tanti si interrogano sulle ragioni che hanno spinto il governo a eliminare dal decreto sviluppo la norma che avrebbe consentito a Bankitalia di cacciare i manager peggiori.

 

– da IL SOLE 24 ORE, sabato 11 giugno 2011 –

Banche, Sacconi pronto a mediare – IL SINDACATO – Sileoni (Fabi): «Siamo disponibili a scrivere nuove regole subito dopo aver presentato la piattaforma unitaria»

di Cristina Casadei

«Le mediazioni sono praticabili solo se richieste dalle parti ed attualmente nessuno si è fatto avanti». Nel difficile avvio della trattativa per il rinnovo del contratto dei bancari interviene anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, dicendosi pronto a mediare, dopo l’affondo del segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, che nei giorni scorsi ha annunciato la disdetta dell’accordo del 1993, motivando la decisione con l’evolversi della trattativa sul contratto dei bancari: «L’Abi non vuole applicare la riforma del 2009 ma l’accordo del 1993, applicando l’inflazione programmata. Non è accettabile, in quanto è stato superato da una successiva intesa tra le parti», ha detto Angeletti che sulla disdetta dell’accordo del ’93 ha trovato il supporto del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni e di Sacconi. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia ha invece detto che la disdetta dell’accordo del ’93 ha poco senso, il tema vero è arrivare ad un accordo sulla rappresentanza. Mentre Abi ha preso un posizione forte verso i sindacati bancari dicendo che devono ancora adempiere alle regole attuative dell’accordo del 2009. Senza escludere di togliere la firma dall’accordo del 2009. Come dice anche il ministro Sacconi, quella dei bancari «è una vertenza particolarmente incagliata». «Non credo possa essere risolta con metodologie del passato, cioé con l’accordo del ’93 che é definitivamente sepolto», aggiunge. A questo proposito ci sono però almeno due scogli difficili. Il primo è la firma separata dell’accordo interconfederale del 2009. Fare le regole attuative di quell’accordo prima di iniziare a discutere la piattaforma dei bancari, elaborata unitariamente da tutte le sigle, significherebbe tagliare fuori la Cgil che non ha firmato l’accordo del 2009. Ma come hanno sempre detto i sindacati bancari c’è una volontà di mantenere il tavolo unito. Per questo, spiega il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, «proponiamo di scrivere delle regole comuni senza considerare nè l’accordo del 1993, nè quello del 2009. E siamo disponibili a delineare delle regole subito dopo aver presentato la piattaforma». Il contratto però è scaduto alla fine del 2010 e il settore sconta ormai un certo ritardo. Se ancora non sono state stabilite le regole attuative è perché «non c’è stato nemmeno il tempo per discuterle. Tutti gli incontri, finora, sono stati incentrati sul fondo di solidarietà», dice Sileoni. Il secondo scoglio invece riguarda l’indicizzazione che per Abi non è da considerarsi automatica, mentre per i sindacati, dice Sileoni, «le percentuali degli aumenti si stabiliscono con l’inflazione pregressa, reale e attesa e non vanno legati alla produttività. Le regole attuative dovranno tenerne conto perché fare delle regole attuative non significa snaturare gli accordi. In caso contrario Abi dovrà prendersi la responsabilità politica verso il governo di non riconoscere più l’accordo del 2009».

Nelle parole di Sacconi ieri non è mancato anche un riferimento al fondo di solidarietà. I sindacati dopo la disdetta dell’accordo del 2001 sulla volontarietà hanno infatti deciso di interrompere le relazioni sindacali nei gruppi fino a fine maggio e di dare tempo fino a fine giugno all’Abi «per ritirare la disdetta» dice Sileoni. A questo proposito Sacconi ha detto di auspicare «un’intesa» e ha ribadito «la disponibilità a favorirla senza oneri di finanza pubblica».

 

– da PLUS 24, sabato 11 giugno 2011 –

Contratto Abi, scontro Fisac-Uilca – La Uil: disdetta dell’intesa del 93- No della sigla Cgil- Fabi: non cadere nelle provocazioni

di Nicola Borzi

Gli accordi sindacali del 2009 e del 1993 fanno litigare Uilca e Fisac sul rinnovo del contratto nazionale dei bancari. Con un’intervista al «Sole 24 Ore» di martedì scorso, 7 giugno, il leader della Uil Luigi Angeletti ha dichiarato che la sua organizzazione è pronta alla disdetta dell’accordo interconfederale del 1993 che per anni (sino all’intesa del 2009) aveva fissato le regole su contrattazione e rappresentanza sindacale. Angeletti ha indicato proprio nello scontro tra sindacati e Associazione bancaria italiana la causa della decisione: «L’Abi non vuole applicare la riforma del 2009 ma l’accordo del 1993, applicando l’inflazione programmata. Non è accettabile, in quanto è stato superato da una successiva intesa tra le parti», ha spiegato il segretario generale della Uil.

La posizione di Angeletti non è piaciuta per nulla alla Cgil, in generale, e alla Fisac in particolare, che hanno ribattuto a strettissimo giro di posta. Secondo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, la disdetta dell’accordo del 1993 annunciata da Angeletti è «un totale errore, è la dimostrazione che in realtà c’è grande paura di definire la rappresentanza. Quanto al contratto dei bancari, suggerirei ad Angeletti di guardare all’accordo che tutte le categorie, compresa la sua, hanno fatto su democrazia e rappresentanza». Concorda Agostino Megale, segretario generale della Fisac: «Sbaglia chi, come Angeletti, pensa di disdire l’accordo del ’93 e riproporre l’Ipca depurata dall’energia come strumento per difendere il salario», perché «l’inflazione reale, quella con l’Ipca non depurata da energia, è al 3% mentre quella prevista dall’accordo separato del 2009, proprio perché non tiene conto di quanto incida l’energia, si è fermata al 2,2%: un -0,8% che se applicato ai salari si traduce in una perdita secca del potere d’acquisto. È necessario che il lavoro unitario che come categoria abbiamo fatto in questi mesi, anche prevedendo regole di democrazia utili a evitare accordi separati, sia apprezzato e rispettato da tutti evitando di creare tensioni laddove, pur con fatica, si prova a lavorare per ricostruire l’unità del sindacato». Ma «contro ogni divisione, la piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto dei bancari è pronta. Entro giugno presenteremo all’Abi la piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto», conclude Megale. Secondo Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, «l’Abi ha puntato tutto sull’accordo del 2009, nel tentativo evidente di rompere il fronte sindacale. Le banche sapevano benissimo che la Cgil non avrebbe potuto accettare quell’intesa, che non ha mai firmato, mentre Cisl e Uil, che l’hanno firmata, non avrebbero accettato il ritorno all’accordo del 1993. Se l’Abi avesse davvero voluto riscrivere le regole di comune accordo con i sindacati non li avrebbe posti di fronte a questa alternativa».

Si apre così un nuovo fronte, stavolta tutto interno al mondo sindacale. Non se ne sentiva il bisogno, in una tornata contrattuale che è gia contrassegnata da notevoli criticità esplose nei mesi scorsi tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli degli istituti di credito.

 

– da PLUS 24, sabato 11 giugno 2011 –

Cassa Carinzia va al Fondo

di Nicola Borzi

Soluzione occupazionale raggiunta per la crisi delle filiali italiane della Cassa di risparmio della Carinzia (Kärntner Sparkasse). Nelle scorse settimane, la maggiore banca della regione austriaca operativa anche in Slovenia aveva comunicato ai sindacati la decisione di chiudere le filiali di Treviso, Conegliano e Vicenza, annunciando 32 esuberi su 42 occupati attualmente in servizio e il ridimensionamento della direzione di Udine, che passerebbe da sette a quattro dipendenti. «Plus24» ne aveva dato conto sull’edizione del 21 maggio. Ma nei giorni scorsi, al termine di una positiva maratona negoziale, è arrivata la soluzione: i bancari licenziati avranno tutti accesso alla sezione emergenziale del Fondo di solidarietà del settore bancario, l’ammortizzatore sociale di settore che nell’ultimo decennio ha “assorbito” e gestito le tensioni aziendali evitando drammatiche ricadute occupazionali. L’accordo prevede che i licenziati beneficeranno per due anni di un assegno di sostegno al reddito. L’ingresso nella sezione emergenziale del Fondo avverrà da luglio, al termine delle procedure di conciliazione obbligatoria. Secondo Marcello Giambruno, segretario provinciale della Fabi di Udine che ha gestito la trattativa insieme a Massimo Gavagnin della Fabi di Treviso, si tratta del «migliore dei risultati possibili» osto che «all’inizio l’azienda era partita con il proposito di licenziare i lavoratori senza dare loro alcuna compensazione».

 

– da PLUS  24, sabato 11 giugno 2011 –

“SCENE DA UNA FUSIONE” Anche Antonveneta rivede la rete

di Nicola Borzi

Dopo la riorganizzazione della rete di Banca Mps, continua nel gruppo Monte dei Paschi il percorso verso la costituzione delle nuove Direzioni territoriali mercato (Dtm). «Plus24» ne ha già parlato il 19 febbraio e 26 marzo scorsi. Dopo Rocca Salimbeni, il confronto sul progetto di riorganizzazione delle direzioni territoriali è partito ora anche in Banca Antonveneta, dove la creazione delle Direzioni territoriali mercato scatterà dal primo luglio. Secondo una nota congiunta delle segreterie centrali di Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil e Uilca, «con questo progetto viene accentrata la gestione integrata di tutti i mercati (retail, corporate, privati ed enti) sul territorio di competenza delle future 13 Dtm. Al responsabile riporteranno le Filiali (da 18 a 37), Centri Pmi, Centri Private ed Enti». Secondo i sindacati, «la sinergia tra i mercati porterà all’eliminazione delle attuali tre Aree territoriali con la conseguente creazione di due strutture a supporto al Direttore generale nella gestione dei territori Est e Ovest del Triveneto. La riorganizzazioni coinvolgerà anche le strutture Pmi con una riportafogliazione di circa l’11% dei clienti per ottimizzare le competenze territoriale dei futuri centri (preesistenti e nuovi) che insisteranno sul territorio delle nuove Dtm. Una prima informativa evidenzia una limitata mobilità professionale e/o territoriale che comunque sarà oggetto di ulteriore approfondimento al fine di pervenire a un accordo non penalizzante e che garantisca adeguati percorsi formativi».

 

– da PLUS 24, sabato 11 giugno 2011 –

Parte il confronto in Intesa Sanpaolo – Prime stoccate sui 10mila esuberi, armonizzazione e volontarietà

di Nicola Borzi

Dopo la lettera di apertura delle procedure sindacali, inviata il 30 maggio ai sindacati (che ha dato il via allo scontro sull’aumento a oltre 10mila delle “eccedenze di personale”), è partuto il confronto diretto tra il management di Intesa Sanpaolo e i sindacati sulle ricadute occupazionali del piano di impresa 2011-13. Giovedì scorso, 9 giugno, secondo una nota comune delle delegazioni trattanti di gruppo di Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl Credito e Uilca, «l’azienda ha esposto i contenuti della lettera del 30 maggio. In particolare ha affermato l’esistenza di potenziali 10mila lavoratori in eccedenza, confermando però che la procedura riguarda gli 8mila dichiarati nel piano d’impresa (3mila uscite nel triennio e riconversione di 5mila amministrativi in attività commerciali)». Per i sindacati, «l’azienda ha confermato l’obiettivo di riduzione strutturale del costo del lavoro per 300 milioni di euro dal 2014, sostenendo che rientra comunque nell’incremento complessivo dell’1,1% del costo del personale. L’azienda ha ribadito l’intenzione di rivedere gli accordi di armonizzazione e le norme del Contratto collettivo nazionale di lavoro (ad esempio su inquadramenti, orari di lavoro, ferie ed ex festività), per renderli coerenti con il modello organizzativo che si realizzerà a fine piano». Dopo questa ricognizione iniziale, arrivano le stoccate. Secondo le sigle del cosiddetti “primo tavolo” «queste spiegazioni non ci hanno assolutamente convinto. Abbiamo contestato l’esistenza di 10mila eccedenze. Abbiamo contestato l’opacità e confusione dei numeri relativi al personale eccedente e dei processi di riorganizzazione e di riconversione professionale. Abbiamo dichiarato l’assoluta indisponibilità a rivedere gli accordi rivenienti dall’armonizzazione e le norme del Contratto nazionale. Abbiamo dichiarato il nostro netto rifiuto a trattare uscite di lavoratori che non siano volontarie e incentivate, in coerenza con le rivendicazioni delle Segreterie nazionali sul Fondo di solidarietà». Per questi motivi, secondo i sindacati, «il confronto si presenta quindi estremamente difficile, in un contesto di forte tensione anche a livello nazionale. In questa fase iniziale abbiamo chiesto all’azienda ulteriori dati, che ci verranno presentati nel prossimo incontro fissato per il 15 giugno».

 

– da IL GIORNALE, sabato 11 giugno 2011 –

Le banche rischiano lo stallo – I sindacati: sciopero da luglio

di Massimo Restelli

Gli esuberi di Intesa Sanpaolo rappresentano la battaglia più delicata della «Grande guerra» del credito che quest’estate rischia di tradursi in una catena di scioperi non senza ripercussioni sull’operatività quotidiana con famiglie e imprese. L’«incendio» sociale potrebbe essere appiccato già a inizio luglio, aprendo una frattura in un sistema creditizio che finora era riuscito a gestire sia il percorso di fusioni e acquisizioni che ha portato alla nascita dei big nazionali, sia la crisi mondiale. In gioco c’è in primo luogo il rinnovo del contratto dei bancari ma, malgrado le trattative non siano ancora iniziate dal punto di vista formale, i rapporti tra i sindacati e l’Abi sono stati esacerbati dalla «disdetta» del meccanismo che assicurava la volontarietà di accesso al «Fondo esuberi»: si tratta dell’ammortizzatore principe del settore che, secondo alcune stime, ha pagato dal 2001 l’assegno mensile a circa 35mila prepensionati. L’Abi osteggia il Fondo considerandolo troppo oneroso (in media 200mila euro a lavoratore per l’intero periodo, ma da spesare il primo anno) per gli attuali bilanci, già provati dalla strettoia di Basilea III e da una redditività ancora scarsa. Il caso di Intesa Sanpaolo, che nel nuovo piano industriale calcola 3mila esuberi e 5mila persone da riqualificare, dimostra però che il settore continua ad avere una marcata necessità di ristrutturare. Da qui lo scontro muscolare e preventivo oggi in corso. In sede Abi, il dominus delle trattative è Francesco Micheli nella propria veste di capo delegazione sindacale di Palazzo Altieri. L’obiettivo ultimo dell’ex direttore generale di Intesa Sanpaolo e attuale superconsulente dell’ad Corrado Passera, sembra comunque quello di coniugare quell’idea di «efficienza» e di «innovazione» che il presidente Giuseppe Mussari ha voluto anche per la struttura dell’associazione. Dando maggior peso alle trattative aziendali, come sta facendo la Fiat di Sergio Marchionne. La strategia delle banche è legare gli aumenti contrattuali alla produttività (magari imponendo 1 ora al giorno di lavoro in più allo sportello e riducendo le ferie), ma agli occhi dei sindacati non avrebbe potuto esserci viatico peggiore dello strappo sul Fondo esuberi.

Il problema è la probabile introduzione di strumenti come l’indennità di disoccupazione: le banche, che ogni anno versano nelle casse dello Stato 240 milioni, vorrebbero infatti ora utilizzare il «cuscinetto» della Cig, ridisegnando il Fondo esuberi per coprire uno dei 5 anni previsti. Ipotesi però osteggiata dai sindacati, perché equivarrebbe ad avvallare dei licenziamenti. Tale strada è comunque tutta da verificare anche dal punto di vista politico, visto che ieri il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, pur dicendosi disponibile a mediare sulla vertenza, ha precisato che non ci dovranno essere «oneri pubblici». Il quadro è poi ulteriormente complicato dalle prove di forza tra i sindacati del settore e dai rapporti di «buon vicinato» tra i campioni del credito e le sigle ex confederali: con Unicredit, considerata più «vicina» alla Fisac-Cgil, e Intesa Sanpaolo da sempre più legata alla Fiba-Cisl. Una diarchia che ha iniziato a creparsi da quando la Fabi esprime una linea politica forte.

Al momento pare essere caduta nel vuoto anche la disponibilità dei sindacati di caricare sulle buste paga dei lavoratori parte del maggiore peso fiscale del Fondo (fino al 10%) conseguente al decreto Bersani pur di tutelare la «volontarietà» degli esodi. Ma se Micheli otterrà l’accordo sul contratto e la riforma del Fondo, Ca de’ Sass potrebbe «tagliare» il personale a un costo inferiore a quello finora pagato dai concorrenti. A partire da Unicredit che lo scorso anno ha espulso 3mila prepensionati a fronte di 2mila assunzioni di giovani, ma si avvantaggia della maggiore internazionalizzazione sia per contenere il costo del personale sia per agganciare la ripresa in atto nell’Europa centro-orientale.


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3 commenti

GRAZIANO 11 Giugno 2011 - 9:58

DI FRONTE ALL’EVOLVERSI DELLA SITUAZIONE ORA ANCHE IL GOVERNO – FINALMENTE – SI DICE PRONTO A MEDIARE: SPERIAMO NON SOLO A FAVORE DELLE BANCHE!!
CARO LANDO, NON MOLLARE: CI SONO ANCORA VALORI DA DIFENDERE ED AI QUALI AGGRAPPARSI E TU NE SEI L’ESEMPIO VIVENTE ED IL NOSTRO PORTAVOCE.
RIGUARDO AL RINNOVO DEL FONDO DI SOLIDARIETA’ SACCONI DICE “SENZA ONERI A CARICO DELLO STATO”: IO CREDO CHE ANCHE CONCEDENDO UNA MAGGIORE DILAZIONE (ESEMPIO ANNO PER ANNO) DEI VERSAMENTI CONTRIBUTIVI ALLA AZIENDE DI CREDITO SI POTREBBE GIUNGERE AD UNA SOLUZIONE E CIO’ NON COMPORTEREBBE ALCUN ONERE PER IL GOVERNO ED UNA NON CERTO TRASCURABILE AGOVOLAZIONE PER LE BANCHE. SULLA FATTIBILITA’ EVIDENTEMENTE NON MI PRONUNCIO, QUESTA MIA VOLEVA ESSERE SOLTANTO UNA RIFLESSIONE A VOCE ALTA E GRADIREI UN TUO PENSIERO A TAL PROPOSITO.
CON GRANDE STIMA.
GRAZIANO.

Fabio Fiacchi 13 Giugno 2011 - 19:37

La forte linea politica espressa oggi dalla Fabi e’ figlia della passione e dell’impegno del nostro Segretario Generale che grazie alla sua abilita’ e lungimiranza politica ha portato la federazione ad essere competitiva con gli altri sindacati confederali. All’attacco FABI tutti insieme a Lando.

HENIN PAOLO 14 Giugno 2011 - 0:32

“Qui la faccenda è quasi tutta sulle spalle della Fabi guidata da Lando Sileoni. Le altre sigle del settore hanno un peso specifico piuttosto contenuto …” , “la Fabi, oeganizzazione indipendente con 100mila iscritti, detta la linea e ha cominciato ad alzare la voce, ricorrendo addirittura a minacciare uno sciopero nazionale” e ancora: “c’è una volontà di mantenere il tavolo unito. Per questo, spiega il segretario generale della Fabi Lando Sileoni, proponiamo di scrivere regole comuni senza considerare nè l’accordo del 1993, nè quello del 2009”. Questi tre passaggi che ben inquadrano i nostri “dati politici” e che provengono da testate giornalistiche diverse fra loro, dicono con chiarezza del nuovo ruolo e della forza che la nostra Organizzazione ha di fronte a tutti. Congratulazioni ancora Lando per l’incisività e per il gran lavoro che stai e state svolgendo sullla pubblica opinione per esaltare la giustezza delle nostre ragioni ,che migliaia e miglliaia di Colleghi ci hanno appena confermato, nelle tante recenti assemblee, dandoci un mandato plebiscitario a conseguirle con ogni mezzo. Alzando forte ed in ogni direzione la nostra voce, che da un po’ di tempo molti stentavano a sentire bene. E questo stai e state facendo spronando tutto il Quadro Dirigente a seguire questa linea con slancio. La “battaglia” e’ appena iniziata e la voglia di battersi è tanta, perchè molti Lavoratori e Lavoratrici ormai non ce la fanno più a sopportare una situazione di lavoro e di settore deprimenti e non hanno più voglia di sopportare tacendo le ingiustizie dei soliti “furbi”! Per il nuovo, per una maggiore equità, per la fine dei privilegi a chi vuol far pagare a noi tutti i prezzi dei loro erroti, all’attacco!!! E tutti insieme!

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