MARCO ALFIERI Milano – È stato il sogno piccolo borghese di tante famiglie: posto fisso e buoni stipendi nell’Italia contadina entrata nel boom economico, quando un bancario poteva comprarsi una utilitaria o una lavatrice Ignis ultimo grido con il solo premio di produzione. Il massimo per chi sgobbava in fabbrica e vedeva nel salto impiegatizio dei figli la quintessenza dell’ascensore sociale. Ambizioni non di rado sbertucciate, simbolo di un’Italietta arricchita e conservatrice, da canzoni e film entrati nel costume. Dai Gufi di Io vado in banca («stipendio fisso, così mi piazzo, e non se ne parla più») al Venditti «sessantottino» di Compagni di scuola («ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?») fino al Nanni Moretti di Sogni d’oro che ironizza sul mestiere sicuro, senza preoccupazioni di bancario. In effetti. Rimborso vestiario, 16 mensilità, a casa presto, permessi orari e contratti integrativi che negli anni ‘80 valgono altri 3mila euro. Da qualche tempo per i circa 340 mila bancari italiani la musica è cambiata. Il posto fisso non è più tanto fisso se è vero che dal 2009 (Fonte: Fabi) solo il 30% dei nuovi ingressi avviene con contratto a tempo indeterminato. Anche nel riparato mondo del credito si entra con formule a termine (29%), apprendistato (13%), somministrazione (11%), inserimento (9%) tirocinio (6%). L’assunzione «a vita» arriva dopo e non è scontata. Nel frattempo il mestiere si è aperto alle donne: se nel 1997 il rapporto era 69 a 31, nel 2010 i maschi sono scesi a 57 contro 43. Non basta. Dal 2000 ad oggi, grazie a meccanismi di pensionamento/prepensionamento volontario e incentivato, dal sistema sono usciti 55mila bancari. Quasi sempre compensati da nuove assunzioni che costano meno e da stabilizzazione precari. Altri ne seguiranno: tutti i big prevedono una seconda infornata di esuberi, da smaltire in 2-3 anni. Unicredit 7.500, Intesa Sanpaolo 5.000, Banco Popolare 1.700, Ubi Banca e Bnl 1000 ciascuno, da definire quelli di Mps. Ma basterà? L’industria bancaria uscita dalle grandi fusioni è un modello maturo che la crisi sta frustando.
L’innovazione tecnologica applicata ai servizi finanziari sta cambiando le abitudini e insieme le scelte distributive centrate su filiali spesso obsolete. Anche i ricavi medi per cliente si sono contratti del 40% rispetto a un costo del lavoro unitario (74.600 euro) tra i più alti d’Europa (56.800 euro). Certo la busta paga del bancario medio resta di un terzo più alta di quella del commercio o dei metalmeccanici. Un impiegato alla prima esperienza guadagna 1.200 euro per 13 mensilità, ha diritto a 20 giorni di ferie (25 dopo 10 anni di anzianità), usufruisce di un’ottima cassa sanitaria, tassi di interessi scontati su mutui e prestiti e, magari, della staffetta generazionale padre-figlio. «Ma il punto vero è che da metà anni ‘90 è proprio cambiato il mestiere», spiega Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. Il big bang è coinciso con la fine del vecchio direttore di agenzia. «Una volta aveva in mano la filiale e conosceva il territorio, oggi deve organizzare il lavoro degli addetti ma non ha più autonomia sulle erogazioni e conoscenza della clientela». Le filiali sono divise in segmenti: «famiglie e aziende rispondono direttamente al capo area – continua Sileoni – che a sua volta riporta alla direzione generale». E i tanti giovani neo assunti? Molti finiscono allo sportello. «Se una volta prevaleva la specializzazione, oggi il bancario proletarizzato e universale, che esegue e piazza prodotti e polizze», rincara un sindacalista della Fisac Cgil. «E’ una catena di montaggio terziaria». Questo il modello prevalente nell’ultimo decennio, enfatizzato dalle fusioni.
E non fa nulla se nei primi 5 gruppi bancari del paese il personale under 40 rappresenti il 48% dei dipendenti e il 44% sia laureato. Un vissuto confermato da una ricerca Ispel sui lavoratori del credito: il 48% degli intervistati si dichiara insoddisfatto del proprio lavoro e il 25% ha la percezione di avere poche opportunità di crescita. Ma per Sileoni non è una deriva inarrestabile. Con la crisi «i principali gruppi si rendono conto che occorre tornare a coltivare il rapporto con la clientela». Selezionare il credito presidiando il territorio resta la parte più difficile per chi vuol far bene il mestiere. Un po’ sul modello delle banche locali. Famoso il metodo del Costantino Gava, storico direttore della filiale di Orsago della Bcc della Marca trevigiana, quando deve aprire un nuovo sportello. Per 2 mesi va a vedere tutte le partite che si giocano in paese. Dopo che si è fatto amico tutti quelli che girano intorno al calcio passa alle associazioni. Infine le messe, mattutine e vespertine. «Perché se vai fuori e conosci la gente, è difficile sbagliare…».