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UBI, SILEONI: "NO AI PREPENSIONAMENTI OBBLIGATORI, SI INTERVENGA SUI COSTI DI GESTIONE"

di Redazione

MF-MILANO FINANZA, venerdì 5 ottobre 2012

Segreti bancari – Jannone lancia una lista per Ubi Banca – Intanto salta il tavolo tra azienda e sindacati

di Raffaele Ricciardi

I sindacati lasciano il tavolo delle trattative sulla riorganizzazione e Giorgio Jannone si prepara a scendere in campo con una lista «forte di almeno mille sottoscrittori».

Si alza così la temperatura intorno a Ubi Banca. Il segretario della Fabi, Lando Sileoni, spiega che «i 115 milioni di riduzione dei costi richiesti rappresentano un’aberrazione, in quanto, come più volte giustamente rivendicato dall’ad Victor Massiah, l’azienda non si trova nelle condizioni negative di altri gruppi». Sul tavolo la banca ha messo 1.578 esuberi ma, per il sindacato, l’azienda «conosce perfettamente il nostro no sui prepensionamenti obbligatori». Il fronte dei lavoratori è molto vicino alle posizioni di Jannone e della sua Associazione degli Azionisti Ubi (che ha creato un asse da Bergamo a Cuneo) quando si tratta di sottolineare che sarebbe meglio andare a incidere sui costi «dei consigli di gestione, sorveglianza e amministrazione e su una loro significativa riduzione numerica». Sileoni vuole poi «capire a quanto ammontano le consulenze esterne e le sponsorizzazioni, argomenti che devono essere messi, questi, sul tavolo della trattativa per un trasparente confronto con le organizzazioni sindacali». Sul punto rincara la dose Jannone, che si dichiara pronto a scendere in campo nel giro di pochi giorni con una lista per il rinnovo del consiglio di sorveglianza, in largo anticipo rispetto all’assemblea del 2013 «per dimostrare la grande voglia di cambiamento all’interno della banca». Nell’aprile scorso, dopo un grande battage, in assemblea non ci fu nessuno scossone per i vertici di Ubi. Quest’anno le armi si stanno già affilando.

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IL SOLE 24 ORE.it, giovedì 4 ottobre 2012 17:15

Ubi chiede 700 prepensionamenti e 2.500 part time obbligatori

No dei sindacati, è stop al confronto sulla riorganizzazione. Al via le assemblee in tutti i luoghi di lavoro. Il 17 ottobre scade il termine per le trattative. È stop alle trattative tra sindacato e Ubi Banca sul piano industriale della Popolare, deliberato il 18 luglio dai consigli di Gestione e Sorveglianza. Il progetto mira a realizzare un risparmio a regime di 115 milioni sul costo del lavoro, circa l’8% delle spese per il personale (erano 1,42 miliardi alla fine dell’esercizio scorso), e inizialmente prevedeva una riduzione di 1.578 dipendenti full time (sui 19.407 addetti a fine 2011), la chiusura o cessione di 44 sportelli, la trasformazione di altri 78 in minisportelli, la revisione dei modelli private/corporate e retail, dell’organizzazione di Ubi e Ubis e l’interazione più snella con le banche rete.

Dopo un primo “no” del sindacato, ieri sul tavolo del confronto è arrivata la controproposta aziendale che punta, entro il 2017, a 700 prepensionamenti (su 828 bancari che hanno i requisiti per accedere al Fondo di solidarietà, l’ammortizzatore sociale di settore, totalmente autofinanziato, che “accompagna” alla pensione) e a 2.500 posizioni da modificare portandole da full time a part time. Secondo i sindacati, Part time e uscite sarebbero di fatto obbligatori. I coordinamenti di Fd-Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl e Uilca hanno deciso, di fronte a queste richieste di fermare le trattative e avviare una fase di assemblee informative dei dipendenti in tutti i luoghi di lavoro.

La proposta iniziale dell’azienda

A luglio, Ubi Banca aveva proposto ai sindacati di gestire gli esuberi attraverso l’attivazione del Fondo di Solidarietà e dei contratti di lavoro part time, chiedendo deroghe al contratto nazionale di categoria sulla sulla “banca delle ore”, gli straordinari, le ex festività, le ferie e le missioni, con ulteriori deroghe a molti istituti dei vari accordi aziendali, come i buoni pasto, la mobilità, gli inquadramenti, gli automatismi, i rimborsi chilometrici, i premi fedeltà e altro ancora.

La prima risposta dei sindacati

Già a luglio, al ricevimento della proposta aziendale iniziale, i sindacati avevano stigmatizzato unitariamente le misure contenute nel piano originario, contestandone «la scarsa potenzialità a incidere sui ricavi» che «ha portato il gruppo, come altri, a deliberare un drastico taglio dei costi». I sindacati ribadivano che «la crisi non può gravare solo sui lavoratori, ma deve toccare tutti con equità e trasparenza. Chi rappresenta le cariche più alte deve dare l’esempio, se così non fosse il dialogo sarebbe impossibile».

La controproposta dell’azienda

Ieri, in un incontro sindacale, Ubi Banca si è detta disponibile a non applicare deroghe al contratto nazionale di categoria solo nel caso che si raggiungano alcuni obiettivi, come accesso al Fondo di Soldiarietò di 700 lavoratori (sugli 828 che maturano i requisiti per la pensione entro il 2017) e l’applicazione del contratto part time a 2.500 lavoratori.

Il nuovo no dei sindacati, al via le assemblee

I sindacati hanno rispedito al mittente la proposta, ritenendo che part time e prepensionamenti attraverso il Fondo di Solidarietà sarebbero di fatto obbligatori e non incentivati. Le delegazioni aziendali di Fd-Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl e Uilca hanno quindi deciso di fermare le trattative e avviare una fase di assemblee in tutti i luoghi di lavoro che inizieranno la settimana prossima per informarli sullo stato delle trattative e valutare eventuali azioni di mobilitazione. La Fabi, il maggiore sindacato del settore del credito, si è dichiarata nettamente contraria al ricorso all’obbligatorietà. Intanto però il tempo stringe perché, a termini di legge, la procedura di consultazione ei sindacati sul piano di riorganizzazione scadrà mercoledì 17 ottobre.

Sileoni (Fabi): interventi su altri costi, no ai prepensionamenti obbligatori

Secondo Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, «i 115 milioni di euro di riduzione dei costi richiesta dal gruppo Ubi rappresentano un’aberrazione, in quanto, come più volte giustamente rivendicato dall’amministratore delegato Victor Massiah, l’azienda nel suo complesso, pur in presenza di problemi da risolvere non si trova nelle condizioni negative di altri gruppi bancari. La delegazione aziendale conosce perfettamente il nostro “no” a livello di sistema sui prepensionamenti obbligatori, così come affrontare una trattativa con le organizzazioni sindacali a senso unico senza entrare nel merito delle rendite di posizione del top management e delle prebende dei numerosi consiglieri d’amministrazione risulta impraticabile. Vogliamo una riduzione netta dei costi di struttura dei consigli di gestione, sorveglianza e amministrazione e una loro significativa riduzione numerica, così come vogliamo capire a quanto ammontano le consulenze esterne e le sponsorizzazioni, argomenti che devono essere messi sul tavolo della trattativa per un trasparente confronto con le organizzazioni sindacali». nicola.borzi@ilsole24ore.com

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