VITTORIA PULEDDA, MILANO —
Un voto netto, compatto, plebiscitario. E significativo, che mette seriamente in dubbio la continuazione del percorso verso la trasformazione in spa. Ieri la Bpm ha bocciato a furor di soci e per alzata di mano – accompagnata da boato di soddisfazione la modifica di regolamento assembleare proposta dal consiglio di gestione e dal presidente (e maggiore azionista) Andrea Bonomi, per permettere il voto a distanza. I 4.700 soci, presenti di persona o per delega, hanno dimostrato che almeno per il momento non intendono seguire Bonomi. Il quale durante la discussione assembleare aveva sottolineato che il voto a distanza è «una scelta di civiltà» e che non era stato «disegnato per la trasformazione in spa». E, a botta calda ha commentato: «Non lo prendo come uno schiaffo, nessuno ha mai detto che la discontinuità e il cambiamento siano una cosa facile». Semmai, è stata una occasione in più per toccare con mano quanto le resistenze interne ancora contino: «Far evolvere questa banca è una fatica e questa è stata la prima occasione di vedere la contrapposizione di forze per portarla verso un modello più moderno», ha aggiunto Bonomi. Tuttavia, come aveva ricordato Piero Lonardi – membro del consiglio di sorveglianza e da sempre rappresentante dei soci non dipendenti della banca – il voto è stato vissuto «come un referendum» pro o contro la trasformazione della popolare in spa. L’appuntamento clou è previsto il 22 giugno, quando la decisione già presa dal Cdg verrà rimessa al voto assembleare. «Abbiamo 60 giorni per lavorare e per vedere se capiscono il loro nuovo ruolo» ha detto Bonomi, rivolgendosi indirettamente ai sindacati. Se il buongiorno si vede dal mattino, il clima si è fatto davvero pesante.
«Rispediamo al mittente ogni tentativo di minimizzare l’esito plebiscitario dell’assemblea – ha detto Lando Sileoni, segretario generale della Fabi – è indispensabile che Bonomi e il comitato di gestione di Bpm elaborino un piano industriale serio e non un progetto speculativo, come quello attuale». E prima ancora, in una nota congiunta con la Fiba, aveva dichiarato che la trasformazione della Bpm in spa «mette a rischio la stabilità del sistema bancario italiano». Da domani la banca ha annunciato un sito apposito, dedicato alla trasformazione in spa e alla discussione sul progetto (anche con una sezione domande e risposte). Non è detto che basterà.
«È indubbio che questo risultato e la freddezza con cui la platea ha accolto il management richiede una riflessione attenta – dice Agostino Megale, segretario generale della Fisac – e un cambiamento di passo da parte di Bonomi, per costruire soluzioni condivise». Negli ultimi tempi è invece prevalso lo scontro, a partire dalle missive incrociate tra consiglio di gestione e di sorveglianza, che ha visto peraltro le dimissioni recenti di tre consiglieri e dello stesso presidente, Filippo Annunziata. Motivando le dimissioni, Annunziata aveva denunciato il clima difficile e l’impossibilità di «assicurare un percorso ordinato» alla banca fino a giugno. «Chi va via abbia il buongusto di tacere», ha detto polemicamente Lonardi, senza far nomi; e non è stato il solo. Nei giorni scorsi Annunziata ha ricevuto un avviso di garanzia per falsa testimonianza per la vicenda Bpm-BPlus, e il 28 marzo scorso sembra abbia ricevuto un richiamo da parte del Cds, dopo il rapporto dell’Organismo di vigilanza interno relativo a una vicenda di sconfinamenti su fidi erogati da Bpm. Altre polemiche ieri hanno riguardato lo stipendio dell’ad Piero Montani.