Massimo Restelli
Il«progetto Spa» del presidente Andrea Bonomi per la Banca Popolare di Milano va a sbattere contro la pancia della cooperativa lombarda. Il verdetto definitivo ci sarà solo all’assemblea del 22 giugno ma ieri pensionati e dipendenti soci di Piazza Meda, sotto gli occhi attenti dei sindacati, hanno iniziato a respingere a larga maggioranza la proposta di introdurre il voto a distanza, magari dal pc di casa o dalle filiali: a bocciatura avvenuta (4.200 i voti validi), in sala è risuonato un applauso. Il voto da remoto, peraltro in parte previsto dallo Statuto, è centrale perché rappresenta la leva che potrebbe scardinare il blocco dei dipendenti- soci. La battaglia di Bpm proseguirà comunque ora anche in ambito politico, con spettatore d’eccezione l’esecutivo Letta. Il dicastero dell’Economia è stato affidato all’ex direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, lo stesso che – si dice – aveva fatto moral suasion perché il progetto spa di Bpm prevedesse per Bonomi un lock up di tre anni. L’assemblea di Bpm è stata accesa malgrado Bonomi, dopo lo scontro degli ultimi giorni, avesse scelto toni morbidi, invitando gli ex «capi» della cooperativa ad accettare il cambiamento e assicurando che il televoto non fosse stato «disegnato per la trasformazione in spa », ma rappresentasse «un segno di civiltà», perché «se rimaniamo popolare devono votare tutti ».A lavori terminati, il capo di Investindustrial ha rimarcato di non considerare «uno schiaffo » il verdetto. La campagna elettorale è infatti lunga: «Sulla spa non mi pronuncio, non ho mai correlato le due cose – ha proseguito Bonomi- è faticoso cambiare, ma andiamo avanti».
L’assise di ieri era tuttavia considerata una prova generale di quella di giugno. Così come è risultato evidente il peso dei pensionati, che dispongono di 5 deleghe. Nella compagine è confluito parte di quel blocco di potere, vicino all’ex Associazione Amici, che due anni fa aveva consegnato Bpm a Bonomi ma è poi stato «rottamato» con il piano esuberi. La base ha inoltre pizzicato sui compensi del management e sui trasferimenti l’ad Piero Montani che, dopo aver replicato, ha definito «assolutamente necessaria» la ricapitalizzazione da 500 milioni per il rimborso dei Tbond.
Bonomi potrebbe ora tentare un’azione di sensibilizzazione sugli azionisti esterni, sfruttando la visibilità del libro soci. Al momento resta un appello ai sindacati: «Abbiamo sessanta giorni per vedere se capiscono il loro nuovo ruolo».
Il primo ad aprire un varco è stato il leader della Fabi, Lando Sileoni, che ha chiesto «un piano industriale serio e non un progetto speculativo, come l’attuale». Intervistato dal Giornale , Sileoni, che è stato il perno della ritrovata unità sindacale, aveva con visione tattica bocciato la trasformazione in Spa ma aperto a modifiche di governance. In pratica all’addio alla governo duale, come peraltro inizialmente ipotizzato da Bonomi.
In Bipiemme i prossimi appuntamenti per il consiglio di gestione sono il 7, il 14 e il 28 maggio, mentre la sorveglianza tornerà a riunirsi il 7 maggio. Molto dipenderà da Bankitalia: l’affondo del capo di Investindustrial contro la vecchia gestione, culminato nel ritiro dei propri emissari dal Cds, potrebbe indurre Via Nazionale a intervenire. Così come spaventano le possibili mosse della Procura e le multe allo studio della Consob contro l’ex vertice degli Amici per il patto occulto.
Resta poi lo strappo in Cds sul bilancio con la contestuale presentazione di un piano alternativo alla spa da parte di tre consiglieri. Tra questi Enrico Castoldi che ieri ha motivato il proprio «no» al bilancio in cds con la convinzione che sui conti dovesse esprimersi l’assemblea.