Massimo Restelli – Dom, 14/07/2013
L’Abi accelera sulle misure da adottare per risollevare i conti delle banche italiane. Il presidente Antonio Patuelli ha convocato il comitato esecutivo per mercoledì 17 luglio a Milano: sul tavolo dovrebbero esserci le iniziative da intraprendere nei confronti del governo per ottenere un fisco meno vorace, i rapporti con le sigle sindacali e le ricadute della crisi.
Un primo incontro con il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, sarebbe in agenda domani.
L’ultimo vertice Abi prima delle pausa estiva sarà inoltre l’occasione per analizzare l’efficacia del gioco di sponda con il governatore Ignazio Visco, volto a strappare «misure, anche di natura temporanea» in grado di riallineare le spese del personale con la gelata dei ricavi. Gli occhi sono puntati sul contratto nazionale, variabile fondamentale per un settore che conta 330mila addetti. L’accordo scade il 30 giugno del 2014, ma a Palazzo Altieri si sta facendo strada la tentazione di congelare il contratto nella sua parte economica, così da «saltare», insieme al rinnovo, anche l’aggravio connesso all’adeguamento delle buste paga al costo della vita. Tenere tutto fermo fino al 2017 consentirebbe un risparmio – tra inflazione programmata, reale e attesa – prossimo a 210-240 euro in tre anni.
Tale prospettiva è però inaccettabile per i sindacati, che hanno subito stigmatizzato la richiesta della Vigilanza: «Quella scattata durante l’assemblea Abi è una fotografia statica della crisi e priva di strategia di rilancio», attacca il leader della Fabi, Lando Sileoni; simile la linea delle confederali Fiba, Fisac e Uilca. Sotto la scorza dell’ufficialità, emergono comunque posizioni composite tra gli «inquilini» di Palazzo Altieri, dove ci sarebbero due partiti: da un lato i «falchi», pronti a tutto pur di mettere in freezer il contratto del settore; dall’altro le «colombe» che accettano di riscrivere l’accordo ma vogliono inserirvi ampie «compensazioni», così da giungere a un impianto dai costi ridotti all’osso.
In particolare tra gli «intransigenti» (pur con qualche sfumatura), ci sarebbe la compagine delle piccole banche, che ha la propria voce istituzionale nel vicepresidente Camillo Venesio, con in prima linea Maurizio Sella.A queste si aggiungerebbero Unicredit, Bnl, il Credem della famiglia Maramotti e il Banco Popolare soprattutto con il presidente Carlo Fratta Pasini.
Nell’associazione che cura la lobby delle banche resta comunque maggioritario il partito che punta a evitare una frattura insanabile con il sindacato: sarebbero di questo avviso il resto delle mutue (a partire da Ubi, Bpm, e Bper) Monte Paschi, Cariparma, Carige e Intesa Sanpaolo. Una posizione quella di Ca’ de Sass politicamente pesante, visto che il suo direttore operativo Francesco Micheli, oltre a essere vicepresidente vicario Abi, siede alla guida del «Casl», il comitato inteno che conduce le trattative con i sindacati.In mezzo ai due schieramenti siede Patuelli a cui, pur nell’intransigenza di alcune posizioni, le segreterie sindacali riconoscono una certa attenzione ai problemi del sociale.
Sfumature a parte, una qualche soluzione dovrà essere trovata. A imporlo sono i 130 miliardi di sofferenze e gli oltre 200 miliardi di incagli che gravano sul sistema, fino a togliere il sonno ai banchieri. Secondo alcune elaborazioni inoltre i primi 39 istituti italiani, una volta depurati svalutazioni e avviamenti, hanno chiuso il 2012 con un Roe da prefisso telefonico: 0,47%, due punti in meno di un anno prima . Va detto, per contro, che solo lo scorso anno ha visto l’uscita di 9.971 addetti, per un taglio delle spese pari al 2,7% contro il -1,5% di quelle amministrative. La guerrà è pronta a scoppiare.