Home Articoli I CINQUE OSTACOLI “NASCOSTI” NEL CONTRATTO DEI BANCARI

I CINQUE OSTACOLI “NASCOSTI” NEL CONTRATTO DEI BANCARI

di Redazione

I cinque ostacoli “nascosti” nel contratto dei bancari

– di Lando Maria SileoniSegretario generale Fabi

Dopo tre incontri e un quarto previsto per il 30 luglio è lecito e anche legittimo tracciare un primo bilancio della trattativa. Da settembre, poi, si intensificheranno gli incontri e capiremo se esistono le condizioni per arrivare ad un accordo con Abi ed i grandi gruppi bancari. La distinzione fra i due è d’obbligo.

La parte economica resta l’argomento più delicato per la delegazione sindacale delle banche anche se le richieste inserite nella piattaforma avranno, secondo Abi, un impatto economico, sociale e contrattuale. C’è chi sta, purtroppo, con la calcolatrice in mano pronto a moltiplicare per il numero complessivo dei dipendenti del proprio istituto, gli aumenti economici che il sindacato chiede. Tutto il resto, per alcuni, passa in secondo ordine. All’interno del movimento sindacale si respira un’aria positiva. Ogni organizzazione sta dando il massimo di sé stessa per l’obiettivo comune. Esistono però molti ostacoli “nascosti” che potrebbero pesare sull’intera partita, ostacoli di natura umana e psicologica, ostacoli di natura politica e individuale, legati anche alle ambizioni ed ai ruoli di tutti i rappresentanti delle banche, amministratori delegati compresi. Ostacoli legati alle singole situazioni dei gruppi bancari che siedono allo stesso tavolo, ma con intenti ed obbiettivi diversi e distanti fra loro. Ostacoli che hanno sempre avuto un ruolo determinante in ogni rinnovo contrattuale ma che oggi, se mal gestiti, potrebbero rivelarsi un boomerang per l’Abi e per le stesse banche. E anche ostacoli legati al ruolo di quelle banche che hanno un piede in Italia, ma la testa altrove.

Il primo ostacolo “nascosto” è rappresentato dal ruolo che avranno gli amministratori delegati rispetto ai loro rappresentanti che trattano con il sindacato. Oggi osservano, chiedono, si informano. Domani interverranno e lo faranno a modo loro utilizzando le loro insufficienti conoscenze maturate sul campo delle relazioni sindacali che inevitabilmente sconteranno una lontananza ed una insensibilità rispetto allo stesso mondo del lavoro. Se cercheranno di imporre i loro individuali capricci, la vertenza si allungherà inevitabilmente con il rischio di uno scontro, come per il rinnovo contrattuale del 2015, quando scendemmo in piazza per protestare contro una inutile e controproducente chiusura datoriale. Ne parlarono tutti: quotidiani, social, televisioni, sorpresi anche loro dalla tenacia di oltre sessantamila lavoratrici e lavoratori bancari nelle piazze di Milano, Roma, Ravenna e Palermo. Se cercheranno di imporre i loro punti di vista nel nome di una presunta modernità e di un radicale cambiamento delle norme contrattuali legate, ad esempio, ad uno stipendio a due velocità, una parte fissa ed una variale ed individuale legata ai risultati conseguiti dal lavoratore, allora lo scontro non sarà soltanto inevitabile ma necessario. E, all’occorrenza, scenderemo in piazza, insieme alle associazioni dei consumatori. Le onde di questo eventuale tsunami si propagherebbero poi all’intero settore e non vogliamo, neanche per un attimo, pensare all’idea di dover poi navigare in un mare in tempesta.

Questo aspetto è meglio chiarirlo subito, in modo che nessuno poi resti sorpreso nel caso in cui la situazione precipitasse. Il secondo aspetto nascosto è legato alla distanza esistente fra le piccole, medie banche ed i grandi gruppi bancari in termini di regole d’ingaggio e di gestione del contratto nazionale. Le esternalizzazioni selvagge producono vantaggi economici ai grandi gruppi bancari rispetto ai piccoli e medi. Le forme atipiche di lavoro anche! Non sempre le piccole banche hanno la consapevolezza del peso statutario del loro voto che all’interno di Abi vale lo stesso dei grandi gruppi bancari.

Un nuovo, meno complicato, ma più esigibile contratto nazionale allungherebbe la vita anche ai piccoli e medi istituti, stretti come sono dalle intransigenti politiche di Bce e Commissione europea, con la stessa Banca d’Italia costretta, ob torto collo, a fare buon viso a cattivo gioco rispetto agli stessi organismi europei. Vedremo come si comporteranno, vedremo se, nel loro stesso interesse, eviteranno di essere schiacciati dai grandi gruppi bancari. Vedremo quale atteggiamento avranno verso il sindacato quando chiederemo regole “uguali per tutti”, semplificando il più possibile ogni argomento contrattuale legato a deroghe realizzabili nei gruppi e nelle aziende. Vedremo, insomma, se al di là dell’aspetto economico riconducibile ai 200 euro di aumento, se sosterranno la piattaforma del sindacato che pretende di mettere sullo stesso piano ogni azienda al di là della dimensione.

Il terzo aspetto nascosto è legato al ruolo del nuovo presidente del Casl, Salvatore Poloni, condirettore generale di Banco Bpm, uomo capace, riservato e di poche parole. Lo lasceranno lavorare o cercheranno di condizionarlo a questo o quell’interesse di gruppo? Nella storia delle relazioni sindacali in Abi, personaggi del calibro di Francesco Micheli e Alessandro Profumo quando serviva, erano capaci di farsi rispettare superando le integraliste posizioni di alcuni amministratori delegati. Insomma, come Poloni eserciterà il proprio ruolo avrà un peso specifico rilevante rispetto all’esito della trattativa.

Il quarto aspetto nascosto è rappresentato dal peso che avranno le aggregazioni, partendo da un presupposto fondamentale: i gruppi bancari italiani cercheranno una crescita “domestica” all’interno del territorio nazionale. Non vogliono rischiare aggregazioni all’estero forse perché non si sentono pronti al grande salto e soprattutto perché non si sentono tutelati da questo governo. L’eventuale ripresa delle fusioni sarà simile al recente terremoto californiano che ha raggiunto il grado 7.1 della scala Richter (quello dell’Aquila aveva raggiunto il 5.9). Nessuna vittima, grazie a un territorio preparato, organizzato da anni anche a gestire eventi sismici di straordinaria forza e impatto. Per difendere i lavoratori bancari, il nuovo contratto di lavoro sarà l’unico strumento a disposizione per gestire terremoti economici e finanziari legati alla ripresa delle aggregazioni. In mancanza di esso, non avremmo alcun tipo di protezione.

Il quinto e ultimo aspetto nascosto è rappresentato dalla convinzione dei rappresentanti delle banche di svolgere in maniera anarchica il proprio ruolo nelle relazioni sindacali dei gruppi, forzando situazioni di ogni genere, sedendo, contemporaneamente, al tavolo sindacale di Abi con la certezza mista a presunzione che quello che non passerà nella trattativa del rinnovo del contratto nazionale sarà recuperato nei gruppi. La stessa convinzione ce l’hanno poi, culturalmente e intellettualmente, nel momento in cui sono convinti che nel caso in cui si spendessero 200 euro per gli aumenti economici richiesti dal sindacato, ci debbano essere delle compensazioni all’interno del contratto per recuperare quanto speso. Che le banche siano tornate agli utili, che ci sia da recuperare una inflazione pregressa reale e attesa più una percentuale di redditività da riconoscere ai lavoratori, che debba essere completamente reintegrato il Tfr, che si distribuisca un importante dividendo agli azionisti, per loro, per le banche, questi argomenti vengono sistematicamente rimossi con giustificazioni al limite non solo della presunzione e arroganza, ma soprattutto dell’assenza di contenuti e di risposte attendibili. Per il settore bancario italiano, il panorama non è dei più rosei: una pubblica opinione mal disposta, i recenti scandali bancari, la presenza di aggressivi fondi internazionali che ne minano la stabilità, i territori che non si sentono rappresentati, qualche altra crisi bancaria che appare all’orizzonte, l’incertezza della politica interna ed europea e il costante e continuo scippo di aziende italiane da parte di colossi stranieri in ogni altro settore. Questo quadro obbligherebbe a una certa prudenza i rappresentanti delle banche e invece, notizia di ieri, che il gruppo di Unicredit potrebbe arrivare a dichiarare 10.000 esuberi. Reagiremmo quindi a cazzotti e, forse, a qualcos’altro.

Ricordando la recente scomparsa dello scrittore Andrea Camilleri, un romanzo, la «Bolla di componenda», calza particolarmente a pennello per fotografare la situazione, almeno dal punto di vista delle banche. Nella «Bolla di componenda», nella Sicilia dell’800, i siciliani pagavano un pizzo alla Chiesa per ricevere l’assoluzione da ogni peccato. C’era un tariffario per tutto: per il furto, per il tradimento, per atti di violenza, persino per omicidio. Tutto aveva un prezzo. Nella mente di alcuni personaggi, esiste, nel settore bancario, ancora questa convinzione: ti pago 10, mi restituisci 10. Che nessuno dica che non l’avevamo detto e scritto.

You may also like

Lascia un Commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.