Home Rassegna Stampa CITI SI DIMEZZA IN ITALIA E TRA LE BANCHE ESTERE – SCATTA LA GRANDE FUGA (Il Giornale, 28 luglio 2009)

CITI SI DIMEZZA IN ITALIA E TRA LE BANCHE ESTERE – SCATTA LA GRANDE FUGA (Il Giornale, 28 luglio 2009)

di Redazione

Il gruppo americano vuole cedere il “private” e rinuncia al credito al consumo. I casi Ubs e General Electric

Dalla grande avanzata del 2005 alla “ritirata” post subprime: la strategia delle banche estere in Italia pare essersi capovolta in pochi anni. Stretti dalla morsa della crisi, molti giganti del credito hanno deciso severi piani di ristrutturazione. Ultima in ordine di tempo l’americana Citigroup che ha intenzione di vendere o di chiudere la sua divisione private banking nella Penisola (ci sono trattative con gli spagnoli del Santander) e di far cessare quella che si occupa di credito al consumo (65 gli sportelli). Una cura drastica, da inserire nell’ampio piano d’emergenza varato dal colosso statunitense, ma che conferma la tendenza di un “esodo” dalla Penisola nel quale, pur in varia misura, sono coinvolti altri istituti internazionali. A partire dalla svizzera Ubs che lo scorso maggio ha deciso tra il resto di chiudere 5 filiali (su un totale di 14) e di alzare ulteriormente la soglia di ingresso per concentrarsi solo sul cosiddetto “wealth management”, in sostanza sui clienti che dispongono di almeno un milione di euro. “In questo quadro di generale debolezza del contesto economico, l’Italia non è certo il Paese più attraente per le banche né dal punto di vista fiscale né di quello della burocrazia né per i costi legati all’operatività”, sottolinea al Giornale il presidente dell’Associazione fra le banche estere in Italia (Aibe), Guido Rosa ricordando il contributo di innovazione portato negli anni dai gruppi internazionali: una novantina quelli operativi nella Penisola, 50 quelli più attivi. In sostanza in un momento di
difficoltà gli strateghi danno la precedenza ai Paesi ritenuti più promettenti, a meno che non abbiano già raggiunto una certa massa critica (come i francesi di Bnp Paribas con Bnl, quelli del Credit Agricole con Cariparma e la tedesca Deutsche Bank) o con mire espansionistiche come l’inglese Barclays. Una
sorta di selezione naturale: “E’ razionale, con il mercato attuale, uscire da attività che sono marginali e investire in aree dove Citi è forte spiega Sergio
Ascolani, uno degli uomini di punta del gruppo nel nostro Paese – non lasciamo l’Italia, razionalizziamo”. Più precisamente Citi ritaglierà la propria missione sulla banca di investimento e la banca di impresa ma, a riassetto ultimato, il numero dei dipendenti si dimezzerà, passando da mille a 500 euro l’anno. Altro segnale di allarme i tagli previsti da Ubs (probabilmente 77) e da Dresdner che dopo le nozze con Commerzbank rinuncerà alle attività italiane di investment banking. Senza contare le tensioni in Interbanca dove, accusano i sindacati, General Electric vuole dimezzare l’organico mettendo in discussione 160 posti. Una parabola amara per la banca milanese, per comprare la quale Ge aveva ottenuto anche un via libera “politico”, cui aveva
fatto seguito la modifica delle regole sugli incroci azionari tra banche e industrie. “Il 18 settembre riprenderemo le trattative con l’Abi, dobbiamo trovare una soluzione condivisa per tutelare al meglio i lavoratori licenziati o colpiti dalla mobilità”, sottolinea il segretario generale aggiunto della Fabi, Lando Maria Sileoni, che stima in otre mille gli addetti del parabancario oggetto di tagli e privi della protezione del fondo esuberi.”

(Il Giornale, 28 Luglio 2009 – Massimo Restelli)

 

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