Di Francesco De Dominicis
Corre il rischio di essere una proposta fuori tempo massimo. Lontano dai confini italiani, del resto, la presenza dei sindacati nei consigli di amministrazione delle banche non ha prodotto risultati brillanti. E in Germania, non a caso, c’è stato un significativo passo indietro. I nove sindacati del mondo creditizio, però, vogliono tentare a tutti i costi di mettere una bandierina nei board degli istituti. Dimenticando, forse, che pure in Italia esistono esperienze poco felici. Basterebbe pensare al caso Alitalia, secondo alcuni addetti ai lavori, per capire che si tratta di una mossa con risvolti assai pericolosi. La faccenda, in ogni caso, è finita al centro di una trattativa appena avviata con l’Abi, la Confindustria delle banche. Il primo incontro risale allo scorso 8 ottobre. Seguito dal faccia a faccia dell’altro ieri. I due appuntamenti erano stati messi in agenda per fare il punto della situazione su occupazione e prospettive del settore.
Lavoratori nei cda. “Priorità è stata data alla questione occupazionale” si legge nel resoconto delle riunioni. Ma l’idea di entrare in cda stuzzica i rappresentanti dei lavoratori. Non a caso nell’elenco delle proposte da portare al tavolo con i vertici dell’Abi c’è un riferimento esplicito anche alla “partecipazione alla governance delle imprese”. La trattativa, spiega uno dei sindacalisti coinvolti nella partita, è destinata a durare a lungo. E probabilmente la richiesta sarà rispedita al mittente. Il “no” secco arriverà di sicuro dai colossi del settore Intesa Sanpaolo, Unicredit e pure Monte Paschi Siena. Altro tema caldo è quello dei cosiddetti sistemi incentivanti. Qui l’obiettivo è noto: i sindacati mirano a ridurre drasticamente le pressioni commerciali allo sportello, che negli scorsi anni hanno devastato le relazioni con la clientela. Con i venditori pronti a rifilare bidoni spinti da obiettivi di budget irraggiungibili e in cambio di provvigioni ritenute non adeguate.
Diecimila precari. Nelle file dei sindacati non mancano preoccupazioni per gli effetti della crisi finanziaria internazionale sull’occupazione. Ecco perché l’altra richiesta delle sigle prevede di rilanciare il fondo esuberi: “Il fondo ora è bloccato dai costi eccessivi. L’intenzione dei sindacati e delle banche è di andare dal governo e chiedere di spalmare i costi degli esuberi su 2-3 anni: così il fondo ripartirebbe” ha spiegato a Torino Lando Sileoni, segretario aggiunto Fabi. La necessità del fondo è tanto più sentita visto che per il 2010 sono stati annunciati i nuovi piani industriali di gruppi bancari come Intesa Sanpaolo, Ubi e Banco Popolare. “Se insieme alla controparte e al Governo riusciamo a far ripartire il fondo esuberi potremo far confermare molti contratti precari” ha precisato Sileoni, che stima in 7-10mila i precari del settore bancario, su 333mila addetti a fine 2008. Formalmente i banchieri non hanno risposto. Ed è difficile, peraltro, prevedere i tempi e i termini di un accordo.
Dai rappresentanti delle banche, però, è arrivata una proposta. Che in pratica si può sintetizzare così: programmare nuove assunzioni, ma a salari più bassi. L’obiettivo è inserire nelle piattaforme “contratti complementari per le future assunzioni con riduzione stipendio 15% applicabili oltre alle figure già previste anche alle attività di back office, centro servizi, centro elaborazione dati”.
Proposta che segue, a distanza di pochi giorni, quella che Intesa Sanpaolo ha messo sul piatto per il Sud, ma con tagli delle retribuzioni vicini al 20%.