Per Lando Sileoni, appena eletto segretario generale della Fabi, il sindacato più rappresentativo del credito, e per i 340mila bancari italiani il 2010 si presenta come un banco di prova per i rapporti con l’Abi, l’Associazione bancaria italiana. Motivo: il rinnovo del contratto nazionale di lavoro in scadenza a fine anno. Un confronto pieno d’incognite, perché in uno scenario caratterizzato da un ridimensionamento della redditività e da un aumento dei
rischi le banche devono rafforzare il patrimonio e pensare a remunerare gli azionisti. Il che si traduce in un’ottimizzazione dei costi, specie quelli legati al personale. Tra i grandi nomi del credito finora solo la Banca Popolare di Milano ha snocciolato i numeri: il nuovo piano industriale prevede 615 esuberi incentivati. Lecito attendersi mosse del genere anche dai competitor e tra gli analisti si parla di qualche migliaio. Finora, grazie agli appositi fondi previsti dal contratto di lavoro vigente, gli esuberi sono stati gestiti in maniera ordinata e il settore si è dimostrato straordinariamente resistente ai rovesci della recessione. Basti dire che negli ultimi 12 mesi l’occupazione si è ridotta di appena 4mila unità. Il primo obiettivo delle banche resta quello di smaltire i piani alti dell’organigramma, affollati di dirigenti, costosa eredità delle fusioni.
Nel ruolo di pesce-pilota su questo fronte c’è il Monte dei Paschi di Siena, che dal 2007 ha utilizzato lo strumento dell’esodo forzoso: per il dipendente si tratta di scegliere tra il trasferimento in altra sede, le dimissioni volontarie o il licenziamento. Una scelta che Fabrizio Rossi, capo del personale di Mps, ha
spiegato così agli analisti: “Ci siamo accorti che quando proponiamo l’esodo incentivato, le richieste arrivano dalla rete e non dalle direzioni”. E Mps se l’è cavata bene: su 260 quadri e dirigenti delle strutture centrali, solo 24 si sono “messi di traverso”, cioè sono stati licenziati e poi è iniziata la battaglia legale.
Di questi, 9 hanno ottenuto il reintegro, 10 hanno perso e si sono appellati, 5 sono in attesa dell’udienza. Chissà se altri gruppi seguiranno la via senese. Il secondo obiettivo delle banche è il contenimento dei costi nella parte bassa della filiera. Qui, a fare scuola è Intesa Sanpaolo, che un mese fa ha annunciato 500 assunzioni a tempo indeterminato, prevalentemente di cassa integrati e disoccupati, in cambio di un salario d’ingresso che per 4 anni sarà inferiore del 20% rispetto al contratto nazionale. Accordo siglato con gran parte del fronte sindacale, si è sfilata solo la Fisac-Cgil. “Non condividiamo una scelta che destruttura il contratto nazionale: per queste assunzioni Intesa riceve già dei benefici fiscali, non c’era bisogno di un ulteriore sconto” spiega Graziella Rogolino, segretaria nazionale della Fisac. E già da queste parole si capisce come proprio sui “bancari a termine” si giocherà la partita tra sindacati e Abi.