Home Articoli L'ABI CHIUDE IL VARCO DEI BABY-PENSIONATI (Il Sole 24 Ore, mercoledì 20 aprile 2011 – di Cristina Casadei)

L'ABI CHIUDE IL VARCO DEI BABY-PENSIONATI (Il Sole 24 Ore, mercoledì 20 aprile 2011 – di Cristina Casadei)

di Redazione

Sull’assegno versato all’uscita più prelievo per i dipendenti

Un colpo di reni per uscire dalle secche dell’ottica difensiva e ragionare con una espansiva. E questa, soprattutto con riferimento ai bancari che hanno tra i 50 e i 55 anni, è una prima questione che le banche sottopongono ai sindacati per la riflessione di questo periodo di “silenzio” (si veda il Sole 24 Ore di ieri).

Il Fondo di solidarietà ha consentito l’uscita dal lavoro di 30mila lavoratori che hanno potuto anticipare fino a 5 anni il trattamento pensionistico.

Un privilegio che le banche non possono più concedere. E poi ritornare su due possibili questioni. Alzare la percentuale del 10% per andare incontro all’aggravio fiscale per le aziende o non toccare il sistema misto.

Vista dalla parte delle banche, dunque, ci sono almeno tre margini per continuare, più nelle sedi tradizionali che altrove, la trattativa per la riforma del Fondo di solidarietà tra Abi e i sindacati.

La vertenza va avanti dal 2007 – come Abi ha sottolineato – e, dopo essersi arenata nelle ultime settimane, rimarrà sospesa almeno fino al 31 maggio, il termine indicato dai sindacati del credito nella lettera inviata ad Abi in cui hanno annunciato la sospensione di ogni attività di contrattazione nei gruppi e nelle aziende del paese. A meno che Abi non ritiri la disdetta del verbale di accordo del 24 gennaio del 2001. Una questione che però è fuori discussione a Palazzo Altieri: la disdetta non verrà ritirata.

Il primo margine della trattativa sta nel giusto peso da restituire alla parte ordinaria del fondo e nell’approccio espansivo. Una spiegazione elementare per esemplificare la questione potrebbe partire da questa domanda. Perché nelle aziende in cui sarà necessario contenere i costi preoccuparsi di chi ha tra i 50 e i 55 anni, quasi il 13% della categoria dei bancari, come di un esubero e non come di una risorsa da riconvertire professionalmente?

Nella prima ipotesi, quella più praticata in passato, è tutto più semplice per le parti perché si segue la via del prepensionamento, magari con uno scivolo di 12 o 24 mesi, seguito dall’accesso al fondo. Il percorso è molto costoso, troppo per le banche che hanno un problema di redditività e hanno avviato una stagione di aumenti di capitale.

Nella seconda ipotesi, quella della riconversione, invece, ai sindacati, così come ai manager delle risorse umane si chiederebbe di alzare l’asticella del negoziato, soprattutto nelle aziende. Nel caso di una filiale, per esempio, dove c’è un eccesso di addetti occupati in attività di back office questo significherebbe sospendere o ridurre l’orario della loro attività per periodi variabili, utilizzando lo strumento dei contratti di solidarietà e avviare percorsi di formazione per la riconversione professionale degli addetti.

Passando al secondo margine e cioè l’offerta fatta dai sindacati per coprire l’aggravio fiscale sull’assegno netto di accompagnamento alla pensione, la percentuale del 10% non basta per le banche perché, secondo il calcolo di Abi, determinerebbe risultati complessivamente inferiori a quelli che, nel tempo, si verificherebbero in via inerziale per effetto del progressivo aumento dei lavoratori che accederanno alla pensione Ago (assicurazione generale obbligatoria) con il cosiddetto sistema misto.

Se la percentuale di risparmio è uno dei margini di trattativa, un punto di svolta sarebbe l’indennità di disoccupazione. Questo significherebbe per le banche usare i contributi di disoccupazione che ogni anno trasferiscono allo Stato, mentre per i lavoratori una piccola riduzione del trattamento attuale. Ma non solo. Significherebbe anche abbandonare quel paracadute che ha consentito di non usare la parola licenziamento nel settore bancario. Anche se concordato, sempre di licenziamento si tratterebbe e questo, per il sindacato, la Fabi in testa, è inaccettabile. Ma dopo aver confermato ai lavoratori questa linea su un tema così emotivo sembra impossibile cambiarla.

(Il Sole 24 Ore, mercoledì 20 aprile 2011 – di Cristina Casadei)

 

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