di Luca Gualtieri
L’assemblea della seconda banca popolare italiana resta un appuntamento di primo piano per il mondo della finanza, soprattutto in considerazione del fatto che da mesi l’istituto è oggetto di un insistente tiro al piccione. Nata nel 2007 dalla fusione fra Bpu e Banca Lombarda, Ubi Banca è diventata subito crocevia di interessi divergenti. Tra soci bergamaschi e bresciani il malumore serpeggia da anni, ma finora i vertici non hanno subito reali contraccolpi. L’ascia di guerra è stata dissotterrata nel giugno scorso da Giorgio Jannone, imprenditore (Cartiere Pigna) e parlamentare Pdl, che ha messo nel mirino il gruppo dirigente di Ubi e le sue strategie. Nonostante l’exploit iniziale, molti ritengono che il fenomeno Jannone si sia progressivamente sgonfiato e che oggi il parlamentare Pdl non disponga dei numeri per incidere sul futuro di Ubi, anche per la mancanza di alleati eccellenti.
In questi ultimi mesi, però, all’interno del gruppo lombardo è emerso un nuovo soggetto in grado di far sentire la propria voce e l’assemblea degli azionisti di sabato 28 sarà la prima occasione per misurarne il peso e la consistenza. Si tratta del gruppo dei dipendenti-soci, il cui numero è cresciuto mese dopo mese e che oggi potrebbero essere in grado di condizionare l’esito delle assemblee.
Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sabato il padiglione 1 della Fiera di Brescia potrebbe ospitare un numero di azionisti molto superiore rispetto alle ultime assemblee, e qualcuno ipotizza perfino che l’affluenza possa raddoppiare. Regista di questa operazione sono i sindacati del credito, con la Fabi in prima fila. La sigla guidata da Lando Sileoni ha infatti lanciato una massiccia campagna per convincere i dipendenti a comprare le 250 azioni necessarie a chiedere l’ammissione a libro soci. La mobilitazione di sabato servirà insomma come prova di forza per dimostrare ai vertici di Ubi la compattezza e la determinazione della Fabi, anche se per il momento non si conoscono le rivendicazioni specifiche del sindacato. In linea generale sul tappeto dovrebbero esserci temi come l’occupazione, le politiche salariali, i compensi degli amministratori, i piani di incentivazione ai top manager, la sostituzione dei membri del consiglio di sorveglianza e il dividendo degli azionisti. Una strategia simile è stata seguita anche dalle sigle confederali, con la Fisac-Cgil in prima fila, ma in questo caso i sindacati vogliono fare sponda al gruppo dirigente, prendendo con chiarezza le distanze da Jannone: «Le sirene di Jannone e del Centrodestra non ci incantano né nella politica né nelle banche: produrrebbero solo danni», ha dichiarato a MF-Milano Finanza Agostino Megale, segretario generale della Fisac-Cgil. «Va coltivato l’attuale gruppo dirigente di Ubi perché si consolidi e si rinnovi all’insegna del rafforzamento delle relazioni sindacali». La cautela dei confederali è comprensibile, se si considerano le recenti mosse dello stesso Jannone. A fine 2011 il parlamentare Pdl ha annunciato che le sue Cartiere Pigna usciranno da Confindustria, seguendo l’esempio della Fiat di Sergio Marchionne. La mossa ha destato preoccupazione tra i sindacati confederali, che oggi guardano con diffidenza a Jannone anche nel comparto bancario.
È chiaro però che tutte le formazioni sindacali sono pronte a giocare un ruolo da protagonista nella vicenda Ubi. Una massiccia discesa in campo che per certi aspetti ricorda quanto accaduto in tempi recenti nella Popolare di Milano. Le analogie però non devono trarre in inganno, anche perché le storie di Ubi e di Piazza Meda sono molto diverse e i modelli di governance nei due gruppi bancari non sono comparabili.
In ogni caso, i 19.500 dipendenti di Ubi sono un esercito imponente e chiunque sia in grado di dirigerlo avrà in mano un’arma formidabile per condizionare le strategie del gruppo. (riproduzione riservata)