Il mantra dei sacrifici che da Amato all’euro ossessiona gli italiani
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La crisi del ’73 e la linea Berlinguer
– di Filippo Ceccarelli –
ECCOLA che ritorna, ancora una volta: l’ austerità, anzi l’ Austerità.
Per l’assidua ricorrenza e la fatidica persistenza nel discorso pubblico tale nozione si è infatti ampiamente conquistata la maiuscola. C’è chi si ostina a chiamarla all’inglese, austerity, come del resto venne in origine presentata nell’ormai remoto anno 1973, quarto governo presieduto da Mariano Rumor che, con vivido accento veneto e impacciato come poteva esserlo un anziano professore di lettere deportato in uno studio televisivo, spiegò agli italiani che per via della crisi petrolifera dovevano cambiare vita.
Tutti a piedi o in bici la domenica, multe da un milione (fu beccata Sylva Koscina), messe al bando le grandi insegne luminose, cinema chiusi alle 22, restrizioni valutarie, inviti alla delazione contro il carovita («Difendi la tua spesa, telefona al governo!»), gogna e sanzioni ai commercianti che alzavanoi prezzi.
Con il senno di poi, per quell’Italia, l’enfasi drammatizzante e l’inesorabile ricaduta comica furono anche un diversivo rispetto alle rivolte delle carceri e all’epidemia di colera.
Ieri il presidente Napolitano ha di nuovo sottolineato come al momento non esistano alternative all’ Austerità. E’ anche possibile che in un angolo della sua mente egli abbia pensato al suo maestro Giorgio Amendola e a Enrico Berlinguer che nel 1977, al teatro Eliseo, rilanciò questa politica assegnandole un’ ispirazione profonda,a suo modo addirittura profetica. Erano gli anni difficili della solidarietà nazionale.
Lo stesso Napolitano, fresco responsabile economico del Pci, dovette fronteggiare platee ribollenti come a Napoli dove interruppero il suo comizio: «Prima degli aumenti devono andare in galera gli evasori fiscali, prima i cambiamenti e poi i sacrifici!»
Dal 2008a oggi, secondo una ricerca sui titoli dei dispacci Ansa, ben 16 volte il presidente della Repubblica ha invocato i «sacrifici». Berlinguer non amava il termine, suonandogli «frusto, riduttivo, può creare malintesi e suscitare diffidenza tra i lavoratori che già fanno tanti sacrifici». Proprio per evitarli si appropriò dell’ Austerità.
Andreotti, che guidava il governo, non si fece scrupoli. Fu pubblicata una vignetta satirica che lo ritraeva in guèpiere di cuoio sadomaso e frustino ammiccando all’ atterrito lettore: «Sacrifici?». E per le strade cortei di giovani scandivano rabbiosi «Sa-cri-fici! Sa-cri-fi-ci!» e con la stessa disperata animosità, come dovette accorgersi Luciano Lama, riempivano di scritte i muri delle università: «Più lavoro e meno salario».
Passarono diversi anni, ma sempre l’ istanza intermittente dell’ austerità e quella altisonante dei sacrifici accompagnarono un certo numero di manovre, stangate, prelievi, imposte e risanamenti più o meno fasulli, più o meno addomesticati.
Fino a quando nel 1992, durante il crollo simultaneo della lira e della Prima Repubblica, forte di una pretesa «legittimità morale», il governo semitecnico di Amato dovette sul serio operare sui conti e quindi sulla vita delle persone: «In una fase così difficile – disse il Dottor Sottile in tv – è fondamentale che la richiesta venga da qualcuno a cui non si possa dire. “A te, ladro, i miei soldi non li do!”».
Non si parlava allora di antipolitica, anche se per i potenti di quella stagione stava preparandosi il peggio. E adesso sarebbe complicato seguire la faccenda, ma sta di fatto che come un riflesso condizionato la retorica dei sacrifici si spalmò ininterrotta lungo tutti gli anni 90: «Equi», dovevano essere, o «provvisori», «accettabili» o «impopolari», «dolorosi ma necessari», anzi «indispensabili alla ripresa», con o senza «contropartite», «da ripartire in base al reddito», «senza intaccare i diritti acquisiti» e così via.
E così si giunse anche ai sacrifici per entrare nell’ euro. Li chiesero Prodi, Ciampi e Scalfaro. Ma con l’ avvio della crisi globale, all’ inizio del secolo perfino Berlusconi arrivò spudoratamente a invocarli, questi benedetti sacrifici che nella sua visione della vita e del mondo non rientravano nel novero del possibile: ma ormai era troppo tardi, per luie purtroppo anche per gli italiani, impauriti dinanzi al rischio Grecia.
Al momento di annunciare il taglio delle pensioni, come si ricorderà, Fornero non riusciva neanche a pronunciare la parola: «Sacrif…», e giù a piangere. «Sacrifici» declamò gelido Monti, «ma non lacrime e sangue» aggiunse. Anche su questo però bisogna intendersi. Quasi sempre il potere gioca con le parole e le svuota, ma nel caso dell’ Austerità se il contenuto resta si capisce dopo.
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– immagine cover: crisi petrolifera del 1973, tutti a piedi o in bici la domenica. Qui, siamo a Milano (foto “Austerity 1973” di Gottardo, fotoarts.org) –