– Articolo pubblicato il: 08/07/2015 –
L’unico effetto fu di renderci “più determinati” contro i test nucleari. A parlare è Bunny McDiarmid, attuale capo di Greenpeace in Nuova Zelanda, che 30 anni fa faceva parte dell’equipaggio della Rainbow Warrior, la nave del movimento ambientalista che fu affondata dai servizi francesi nella baia di Auckland, provocando la morte di un fotografo. Diciotto mesi dopo quel 10 luglio 1985, sottolinea, entrò in vigore il trattato per una zona libera dal nucleare nel sud del Pacifico.
Quella notte a bordo della Rainbow Warrior c’era stata una festa. L’equipaggio si preparava a salpare verso l’atollo di Muroroa per impedire, con la propria presenza, un test nucleare francese. Giusto prima di mezzanotte, un’esplosione scosse la nave.
“Dormivo nella mia cabina” ricorda oggi lo skipper Pete Willcox, che racconta come l’equipaggio fu costretto ad abbandonare la nave, mentre l’acqua entrava dapertutto. Il fotografo Fernando Pereira, 35 anni, tornò però a bordo per prendere la sua apparecchiatura e fu tragicamente sorpreso da una seconda esplosione che fece affondare la Rainbow Warrior in pochi minuti.
“Mi chiedo ancora perchè l’abbiano fatto” – dice oggi David Robie, un giornalista che seguiva il viaggio della Warrior Rainbow – è stato totalmente controproducente. Greenpeace ricevette più sostegno che mai e l’opposizone ai test nucleari non fece che crescere”. “Gli altri paesi non hanno imparato nulla” – aggiunge Willcox, che nel 2013 è stato arrestato in Russia durante una protesta contro le prospezioni petrolifere nell’Artico – “milioni di persone hanno sentito parlare per la prima volta della devastazione provocata dalla prospezioni petrolifere grazie al chiasso sul nostro arresto”.
Per sabotare la nave di Greenpeace, i servizi francesi della Dgse infiltrarono una donna nell’organizzazione ambientalista. Altri due agenti posero poi le cariche esplosive sott’acqua, attaccate alla chiglia delle nave, ma nei giorni successivi furono individuati e arrestati dalle autorità neozelandesi. Solo molti mesi dopo l’allora primo ministro francese Laurent Fabius, oggi ministro degli Esteri, ammise che gli agenti avevano ricevuto ordini dal governo. Parigi si scusò poi con Auckland e pagò un risarcimento di 6,5 milioni di dollari, in seguito al quale i due agenti furono liberati. Il risarcimento servì a finanziare scambi di studenti e altre iniziative di cooperazione.
Se la Nuova Zelanda considera ormai chiuso l’episodio – “i nostri rapporti dopo 30 anni sono più forti che mai”, dice il ministero degli Esteri parlando della Francia – Greenpeace intende ricordare l’anniversario. Fra le iniziative è prevista una conferenza presso la torre Eiffel a Parigi.