Home Dal Web Due patti per salvare l'Italia (da espresso.it, giovedì 10 maggio 2012)

Due patti per salvare l'Italia (da espresso.it, giovedì 10 maggio 2012)

di Redazione

di Massimo Cacciari

Il primo è quello generazionale, perché in questo Paese i vecchi stanno facendo la guerra ai giovani. Il secondo è fra i contribuenti: perché metà della popolazione paga troppe tasse e l’altra metà evade. Se non si risolvono questi nodi, è finita

(10 maggio 2012)

Che la crisi economica, non affrontata alle radici, debba sfociare in crisi sociale, non occorre esser dotati di spirito profetico per saperlo. Le “forze” politiche non sembrano intenzionate a mettere a profitto il ponticello offerto loro dal governo Monti per iniziare le prove di un’autentica fase costituente. Pensano a elezioni, a Grillo, a come salvare il proprio finanziamento, a marcarsi l’un l’altra, a declamare la propria autonomia e il proprio libero arbitrio. E lo fanno così bene da correre addirittura il rischio di resuscitare i cari trapassati. Con i Berlusconi e i Bossi ancora sulla scena, riusciremo forse nell’impresa di azzerare anche la partecipazione al voto, dopo quella di aver annullato la fiducia nei partiti.

Due drammi, ben distinti per natura e soggetti, si congiungono e possono concludersi in tragedia. Il primo riguarda la rottura del patto generazionale. Ogni res publica vi si fonda. I padri non possono preparare, lungo tutta una fase storica, la rovina dei figli. I padri hanno auctoritas soltanto se, come indica il termine stesso, creano le condizioni perché aumentino le opportunità, sia materiali sia spirituali, per la generazione a venire. O almeno, a essere cinici, sanno rappresentarsi in una tale veste. Neppure di simili travestimenti la classe dirigente passata è stata, invece, capace. Alle grandi faglie tradizionali che spezzano questo bel Paese, Nord-Sud, laici-cattolici, si è così aggiunta questa: di gran lunga la più perniciosa. Ricomporla sarà arduo poiché solo un’azione politica praticata in prima persona dalle nuove generazioni potrebbe farlo. Mai come oggi, però, proprio la prassi politica appare in sé corrotta (magari fosse solo in senso morale!), quando non impotente. Siamo nel famoso paradosso: la politica può anche apparire necessaria ma, insieme, altrettanto a ragione, essere detestata.

Anche il secondo è un dramma, per così dire, della scissione. L’ingiustizia del sistema impositivo ha superato ogni livello di guardia. Nessun paese può reggere se una metà della popolazione paga per una massa parassitaria delle dimensioni che tutte le statistiche sull’evasione denunciano. E se soltanto su lavoro dipendente, pensionati, consumi di massa grava il peso di ogni manovra. Nessuno Stato può reggere se non sa distribuire con un minimo di equità tra i suoi territori e tra le diverse categorie le entrate che riscuote.

Qui crolla il secondo patto della res publica: tassazione e rappresentanza politica sono, infatti, indisgiungibili. Inutili prediche, lamentazioni e scomuniche: se lo Stato non darà immediatamente prova di essere organo efficiente di spesa, di saper svolgere un’equa, necessaria funzione ridistributiva, e di combattere l’evasione, non a spot (vanno bene anche quelli…in assenza di meglio) ma con una riforma complessiva del sistema fiscale (a partire dal rendere davvero conveniente per chi acquista l’esigere fatture e scontrini), il vizio italico secolare – tutti individui, nessuna “società” – potrà anche trovare un validissimo alibi nell’aureo motto liberale: no taxation without representation.

Per i nostri partiti è ultimo appello. Rendano evidenti nelle loro proposte il nesso tra tassazione e nuovo welfare (nuovo perché quello statalista-socialdemocratico, glorioso finche si vuole, ha compiuto il proprio ciclo storico una generazione fa). Dicano dove trovare le risorse per gettare le fondamenta di un nuovo patto con i giovani (risorse che non potranno mai più venire da aumenti di spesa ma solo da rigorose politiche di liberalizzazione che riguardino anzitutto proprietà e partecipazioni pubbliche). Costituiscano coalizioni coese su questi obiettivi.

Perché se anche dopo il 2013 si dovesse tradire il mandato ricevuto, come, per non andar lontani, nel 2006 e nel 2008, altro che governi tecnici, altro che fustigarci sui commissariamenti europei. Altro che Grecia.

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