La titolare della Cima: stare fermi un mese sarebbe stato letale
(nell’immagine, la nuova tensostruttura realizzata in pochi giorni per tornare pienamente operativi)
Alla Cima di Mirandola è il primo giorno post sisma. Per i corridoi girano facce stropicciate di chi dorme in tenda e in camper da troppo tempo. In Cima «facciamo macchine per la gestione del denaro a tecnologia avanzata, cash deposit o dispenser», spiega la signora Nicoletta, proprietaria e amministratore delegato del gruppo. «In realtà siamo una grande famiglia di 85 addetti che investe in ricerca e sviluppo il 25% del fatturato. Da noi si entra ancora in azienda da ingegneri neolaureati e si resta fino alla pensione…»
Per intendersi, i rilevatori del falso multivaluta (euro, dollaro, yuan, yen) sono pensati e progettati a Mirandola, da dove parte l’export (vale il 65% dei ricavi, pari a 23 milioni) per Sud America, Sudafrica, Usa e Ue. «Ad esempio lavoriamo con il governo inglese e con le carceri australiane per le cosiddette “bussole anti rapina”, le porte girevoli con metal detector incorporato».
Lo stabilimento Cima è sullo stradone di ingresso a Mirandola. Qui si progettano i prototipi, si acquistano i materiali e si fanno controllo qualità e collaudo finale; la produzione è invece esternalizzata a una ventina di imprese del comprensorio. Almeno fino al 20 maggio, questo è il microcosmo perfetto di una piccola impresa innovativa come Cima.
«Dopo la prima botta, domenica mattina eravamo tutti qui in azienda: lo stabilimento ha tenuto ma abbiamo ordinato la tensostruttura che vedete fuori per trasferirvi l’unità di crisi e l’help desk», continua la signora Nicoletta. Il magazzino invece ha subito lesioni alle scaffalature: «Abbiamo dovuto mettere in sicurezza tutto il materiale possibile con l’idea di smontare il fabbricato e rimontarlo a fianco».
La botta del 29 è stata anche peggio. Di fianco alla Cima è venuta giù la Bbg, schiacciando 4 operai. Di fronte si sono squarciate la Bellco e la Gambro, i colossi del biomedicale. «Il nostro stabilimento è rimasto in piedi ma siamo dovuti ripartire con le agibilità».
Quanto al magazzino, «abbiamo dovuto abbatterlo. Fortuna avevamo un terreno qui dietro dove sabato verrà montata una grande tensostruttura da 1200 mq che fungerà da nuovo deposito. Dal 25 sarà agibile», continua l’ad.
«Dentro ci teniamo uno spazio di emergenza per la produzione e per alcuni contoterzisti con il capannone distrutto. Qui ci si aiuta tutti», sorride Nicoletta. «Nei giorni scorsi è stata una lotta per tenere fuori i ragazzi. Volevano dare una mano lo stesso. Ho dovuto mettere una guardia al cancello…»
Nella Bassa la coesione è un valore economico. Il padre di Nicoletta, Giuseppe, fonda la Cima nel 1955. Faceva il serramentista, infissi in alluminio. Per anni è stato fornitore degli stabilimenti Fiat, facendo sempre lavorare terzisti del territorio.
«Nel 1974 ci siamo trasferiti qui», ricorda la figlia con tenerezza. L’azienda è cresciuta un pezzo per volta. «Dopo il papà, in azienda è arrivato il turno mio e di mio fratello Vittorio, oggi presidente».
Ogni decennio, un’innovazione/diversificazione: negli Anni 80 lavorando per una banca Cima scopre il business delle bussole anti rapina; nei 90 entrano nel segmento macchine per la messa in sicurezza del denaro. Diventeranno fornitori di Bnl, Intesa e di tutte le grandi banche nazionali; nel 2003 comincia l’era dei cash deposit e riciclo per la grande distribuzione (Auchan e Carrefour) e per gruppi come Autostrade per l’Italia e Fs.
«Noi competiamo contro multinazionali, rimanere fermi per un mese sarebbe stato letale», prosegue Razzaboni. «Dal 29 abbiamo continuato a ritirare materiale in arrivo da fuori Mirandola, stoccandolo in un conto deposito vicino Bologna. Fortuna avevamo un po’ di magazzino». Ovviamente qualche commessa Cima l’ha persa. «Ma tornando operativi subito, riusciamo a tamponare. Mirandola non vuole farsi vedere in ginocchio».