Home Dal Web La campagna "Sicilia: Il petrolio mi sta stretto" (da wwf.it, giugno 2013)

La campagna "Sicilia: Il petrolio mi sta stretto" (da wwf.it, giugno 2013)

di Redazione

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Il Mare Mediterraneo può essere visto come una clessidra appoggiata su un piano. L’ampolla ad Est è il bacino orientale, l’ampolla ad Ovest quello occidentale, il restringimento è il Canale, o Stretto, di Sicilia.

Da lì passa tutto. Dal minimale scambio di correnti, superficiali e profonde, tra i due bacini ai tonni e alle tartarughe in migrazione. Nel Canale di Sicilia tutte le flotte pescherecce degli stati mediterranei si riversano per pescare il pesce più pregiato al mondo, il tonno rosso (Thunnus thynnus). Sul mercato giapponese il tonno può raggiungere prezzi esorbitanti. Quest’anno un esemplare di 222 chili è stato venduto per 155,4 milioni di yen, circa 1.3 milioni di euro.

Fino alla moratoria della pesca al tonno rosso del 2010, fortemente voluta e richiesta da WWF Italia, la pesca al tonno rosso da parte dei pescatori italiani era totalmente fuori controllo. L’illegalità spinta nella pesca, ingrasso e vendita del tonno rosso aveva portato lo stock sull’orlo del collasso. Le forti pressioni da noi esercitate, nonché l’evidenza dello stato di illegalità del settore, ha fatto in modo che la flotta italiana venisse ridotta drasticamente del 75% nel giro di pochi anni.

L’applicazione ferrea, conseguente, del piano di gestione da parte dell’ICCAT, la International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas, ha poi portato ad un incremento, seppur leggero dello stock, che ora versa in condizioni migliori.

Un risultato di cui il WWF si può vantare. Se i tonni “corrono” sott’acqua nel Canale di Sicilia, tutto il traffico navale che attraversa il “mare nostrum” naviga in superficie.

Il Mediterraneo è una delle vie d’acqua più trafficate del mondo, il 15% del traffico globale passa per il Canale di Sicilia. Più di 325.000 transiti si verificano ogni anno rappresentando un capacità totale di trasporto pari 3,8 miliardi tonnellate.

Si stimano, nella media, che 200.000 navi commerciali attraversano il Mediterraneo dirette verso i 300 porti del bacino. E si ipotizza anche questi valori tenderanno a crescere di tre o quattro volte nei prossimi 20 anni.

Il Canale di Sicilia è il punto dove l’Europa e l’Africa quasi si baciano. Lampedusa dista 113 chilometri dalle coste africane. Ed è da lì che con mezzi di fortuna o traghettati da sfrontati scafisti, disperati di ogni etnia, colore ed età, ci raggiunge in cerca di fortuna. Negli anni 2010-2011, soprattutto in relazione all’instabilità politica nel Nord Africa, il numero di sbarchi si è attestato attorno alle 50 mila persone. Qui, come del resto in tutta Italia, non è il caso di impiantare piattaforme per l’estrazione petrolifera. La situazione è analoga nel Mare Adriatico.

Dove tutti le navi passano, dove tutti i pescatori pescano, lo stato italiano vorrebbe trasformare il tragitto, da libero qual è, ad una corsa ad ostacoli.

A memoria ci si ricorda della petroliera Haven. Era il 1991. La nave versò davanti a Genova migliaia di tonnellate di petrolio. L’Italia è in crisi economica, ed il miraggio del petrolio pare dia speranza. Ma non serve essere dei fini ingegneri minerari per comprendere che se il “nostro” petrolio fosse di buona qualità noi vivremmo in una sorta di Dubai. E non nel Belpaese, ora in crisi. Siamo forse talmente in crisi che tutto fa brodo, anche un pessimo petrolio. Anche delle royalties molto basse (dal 7% al 10% per il gas e dal 4% al 7% per l’olio). Forse siamo così in crisi che ci possiamo permettere il lusso di rischiare di “sporcare” le isole del Canale di Sicilia. O la Sicilia stessa. Se si guarda la mappa ufficiale delle concessioni per estrazione petrolifera fornita dal Ministero dello Sviluppo Economico si ha l’impressione di essere circondati.

Chi pagherà se qualcosa va storto? 

Attualmente in Italia si contano complessivamente, a mare e sulla terraferma, 202 concessioni di coltivazione117 permessi di ricerca,109 istanze di permesso di ricerca, 19 concessioni di coltivazione3 istanze di prospezione. Casi come la piattaforma Deepwater Horizon sono rarissimi, ma non impossibili. Incidenti come quelli del Giglio (nave Costa Concordia) o di Genova (nave Jolly nero) sono rarissimi, ma non impossibili. Le piattaforme non saranno lungo le rotte di navigazione.

Le navi hanno dei sistemi di navigazione satellitare abilissimi a schivare ogni ostacolo. Ne siamo sicuri?

La petroliera Exxon Valdez centrò nel 1989 uno scoglio nello Stretto di Prince William. Da allora sono passati 24 anni, ma dal caso della Costa Concordia ne è passato solo uno e mezzo. Saranno coincidenze, ma basta vedere le pagine di cronaca dei nostri quotidiani per avere il sospetto che il settore della navigazione non sforni più illustri nocchieri.

La storia non si fa con i ma e con i se, ma WWF Italia prova a farlo lo stesso.

 

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